venerdì 31 maggio 2013

Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune



 Che cos'è l'uomo perché te ne ricordi?

Dal 2 al 9 giugno 2013 la mostra itinerante «Che cos'è l'uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jerome Lejeune» farà tappa presso la Hall dell’Ospedale  “S. Donato” di  Arezzo.

La mostra, dedicata a J. Lejeune, lo scienziato che scoprì il cromosoma 21, all’origine della sindrome di Down,  sarà inaugurata lunedì 3 giugno 2013 alle ore 18.00 presso l’Auditorium dell’Ospedale S. Donato di Arezzo. Interverranno:   

PIERLUIGI STRIPPOLI - professore associato di Biologia Applicata, responsabile del Laboratorio di  Genomica del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna

ROSSANO SANTUARI e ROBERTA SCIASCIA - genitori adottivi di bambina affetta da sindrome di  Down, membri dell'associazione  “Famiglie per l’accoglienza”

Orari mostra: 10.00 – 20.00
Info e prenotazioni visite guidate: centroculturale.arezzo@gmail.com

giovedì 30 maggio 2013

S.O.S. VITA

Che cos’è il telefono “Sos vita”? 
  
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata.
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

Telefono e rete dei Cav e dei Mpv costituiscono un unico servizio.
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata.
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

Telefono e rete dei Cav e dei Mpv costituiscono un unico servizio.


Fonte: mpv.org

mercoledì 29 maggio 2013

MOSTRA SU LEJEUNE: INTERVISTA AI RICERCATORI OMBRETTA SALVUCCI E PIERLUIGI STRIPPOLI

Immagine
 Articolo pubblicato sul nr. 19/2013 de "IL NUOVO AMICO" di PESARO

Fonte:  www.anffaspesaro.com

Allarme autismo: terapie molecolari la cura del futuro




Press-IN anno V / n. 1209

Avvenire del 28-05-2013

ROMA. Dai tre o quattro casi ogni 10mila bambini del 1985, siamo arrivati oggi a uno su 100: l’autismo ormai non è più una patologia rara. Si manifesta attorno ai tre anni con la difficoltà a intrecciare relazioni, fino al completo isolamento. Molti i fattori di questo allarmante boom: una delle cause è il concepimento in età sempre più adulta, ma è probabile che molti casi di autismo in passato venissero classificati come generico ritardo mentale. Il fattore preponderante all’origine della sindrome è genetica, ma esistono fattori ambientali come alcune infezioni virali o l’esposizione a farmaci anti-epilettici o a determinati pesticidi nei primi mesi di gravidanza.
Grandi speranze arrivano dalla ricerca. Il professor Antonio Persico, neuropsichiatra infantile e ricercatore dell’Università Campus Bio- Medico di Roma, spiega che, grazie ad analisi genomiche e sequenziamento di singoli geni, «tra alcuni anni grazie alle nuove terapie molecolari personalizzate saremo in grado di curare in modo risolutivo l’autismo nel singolo paziente». Oggi le terapie sono soprattutto comportamentali e psico-educative, solitamente a carico delle famiglie che spendono dai 900 ai 1.700 euro al mese.
Anche per venire incontro a queste esigenze a Milano è nato il centro Mafalda Luce - di pertinenza del Campus Bio-Medico - un modello che mira all’eccellenza in diagnostica, assistenza clinica, ricerca e formazione. Il Campus fa parte del consorzio incaricato dall’Ue di produrre protocolli diagnostici e terapie molecolari personalizzate. L’Unità ambulatoriale di Neuropsichiatria dell’infanzia del Campus, che opera presso il centro Luce, fornisce prestazioni mediche e psicodiagnostiche.
Per sostenere questa iniziativa l’Associazione 'Amici dell’Università Campus Bio-Medico onlus' promuove fino al 1° giugno una raccolta di fondi. Si possono donare 2 euro attraverso sms oppure 2 o 5 euro chiamando da rete fissa il numero 45502.

di Luca Liverani

lunedì 27 maggio 2013

Pillola del giorno dopo: un "attacco diretto" al nascituro : lo dice la delegazione della Santa Sede all’OMS



 La cosiddetta pillola del giorno dopo, spesso chiamata "contraccezione d'emergenza" dalla classe medica, non è un "prodotto salva-vita": il capo della Delegazione della Santa Sede lo ha detto alla 66a Assemblea Mondiale della Sanità a Ginevra questa settimana. Tali farmaci sono in realtà "un attacco diretto" alla vita del nascituro.
Nel suo discorso, l'Arcivescovo Zygmunt Zimowski ha risposto alla Risoluzione EB132.R4 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che esorta gli Stati membri a migliorare la qualità, la fornitura e l'uso di 13 "prodotti salva-vita."
L'elenco comprende la  "contraccezione d'emergenza".
Zimowski ha detto che la Santa Sede "concorda fortemente con l'esigenza di ridurre ulteriormente la perdita di vite umane e di prevenire le malattie attraverso un maggiore accesso agli interventi economici", ma ha insistito che essi devono essere tutti "rispettosi della vita e della dignità di tutte le madri e di tutti i bambini in tutte le fasi della vita, dal concepimento alla morte naturale ".
Mentre alcune raccomandazioni dell’OMS "sono veramente salva-vita, quella della “contraccezione d'emergenza' difficilmente può essere etichettata come tale in quanto è ben noto che, quando il concepimento è già avvenuto, talune sostanze impiegate nella “contraccezione d'emergenza” producono un effetto abortivo ", ha affermato Zimowsky.
E ha aggiunto:"Per la mia delegazione, è totalmente inaccettabile fare riferimento a un prodotto medico che costituisce un attacco diretto alla vita del bambino in utero come un "prodotto  salvavita" e, molto peggio, per incoraggiare il crescente uso di tali sostanze in tutte le parti del mondo “.
Patrick Buckley, il responsabile affari internazionali della Società per la protezione dei bambini non nati, ha commentato che l'intervento è stato ben collocato.
L'Assemblea Mondiale della Sanità è l'assemblea generale annuale dell'Organizzazione mondiale della sanità (WHO) e sta discutendo sulla copertura sanitaria universale, sulla salute delle donne e dei bambini e sta monitorando i risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, i quali hanno rilevanza per la questione dell'aborto e della contraccezione artificiale.
                                                                  
traduzione a cura di Anna Fusina

Clicca qui per leggere l’intero articolo originale pubblicato da LifeSiteNews in inglese:

http://www.lifesitenews.com/news/morning-after-pill-a-direct-attack-on-the-unborn-holy-see-delegation-tells?utm_source=LifeSiteNews.com+Daily+Newsletter&utm_campaign=46871c262d-LifeSiteNews_com_Intl_Full_Text_05_24_2013&utm_medium=email&utm_term=0_0caba610ac-46871c262d-397581617

Fonte: LifeSiteNews



giovedì 23 maggio 2013

Inagurata al Policlinico di Bari la mostra “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune”

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22 maggio 2013

di Francesco Elios Coviello

Si è svolto ieri pomeriggio, nell’ aula magna del Policlinico di Bari, gremita di studenti, medici, professori e semplici curiosi, l’incontro di inaugurazione della mostra Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune, che verrà esposta al pubblico nel corso di questa e della prossima settimana.

Invitati a presentarla sono stati tre ricercatori correlati, ognuno a suo modo, alla scoperta e alla persona del medico francese che scoprì la Trisomia 21 e che è protagonista dell’esposizione. Domenico Flagiello, docente di Biologia dell’Università di Parigi VII “D. Diderot”, conosciuto dagli studenti durante la scorsa edizione del Meeting di Rimini come prima guida ai pannelli della mostra, ha fatto un’interessante premessa: “La proposta che viene presentata nel salone antistante quest’aula, da domani pomeriggio a sabato mattina, non è una rinuncia alla propria sensibilità o alla propria idea, ma uno sforzo di immedesimazione, una possibilità di scoprire lo sguardo di Jérôme Lejeune, come riporta il sottotitolo, e di vedere le cose dal suo punto di vista inedito e sorprendente”. Una sorta di scambio di occhi, quindi, ed è proprio dagli occhi chiari e dal sorriso sincero e insieme appassionato del geniale pediatra, genetista e biochimico che prende avvio questo viaggio nella sua esperienza, animata da una tensione instancabile alla verità. Questa forza si esprime dunque in un’esigenza, quella della ricerca scientifica, applicata alla realtà della sindrome di Down, così vicina nel reparto di pediatra del Saint-Louis di Parigi e così oscura nelle cause e nella terapia, e porta alla brillante intuizione, avvalorata poi da evidenze sperimentali, del cromosoma in più nella coppia 21. E’ il 1958, questa è l’origine della patologia e questa la strada giusta per comprendere anche le altre malattie cromosomiche. Nasce così la moderna citogenetica, seguono altre scoperte, come quella della causa della sindrome del cri du chat, e la ricerca non si ferma all’eziologia o alla descrizione dei sintomi ma si apre alla prospettiva della cura. A questo punto appare tutta l’umanità e la compassione di Lejeune, medico per vocazione e ricercatore per necessità, dove la necessità è quella di trovare una cura e di farlo al più presto, prima che si possa decidere se loro, i suoi piccoli pazienti, debbano vivere o morire, prima che si possa giocare all’immatura dama della selezione artificiale e dell’eugenetica. “Allora resta una via, una sola, guarirli e guarirli in fretta.” E ancora: “Troveremo. E’ impossibile non trovare, è molto meno difficile che mandare un uomo sulla luna”. “Quella di Lejeune è la storia di un ottimista” afferma Flagiello: “non per indole ma per realismo, non per una predisposizione positiva alla vita ma per un’acutezza di sguardo, propria di un eccellente scienziato, che non trascurava nessun fattore e che andava dritta al problema, con la fiducia, anch’essa razionale, di poter comprendere e di poter guarire.” E prosegue: “Lavorando con un mio professore, ch’era stato allievo di Jérôme Lejeune, ho compreso quanto la ricerca sia un continuo domandare, in maniera esponenziale, e fare una scoperta significhi aprire centinaia di nuovi interrogativi. Egli, come il suo maestro, credeva bene che il nostro intelletto possa comprendere le leggi dell’universo, col quale è in sintonia.” Ma Lejeune non è solo questo, è anche il medico che compatisce i genitori in difficoltà, che consola e che ridà fiducia, come dimostrano le testimonianze di tanti padri, madri e figli trisomici. “E’ tutto questo ma è un uomo solo, una persona unita, integra, dunque medico sì, ma fino in fondo all’anima” conclude il professore.
La parola spetta a questo punto a Rosa Anna Vacca, ricercatrice del CNR di Bari ma innanzi tutto madre di un bambino trisomico. “Io e mio marito l’abbiamo accolto pieni di dubbi, guardando solo gli aspetti negativi della situazione, ma poi abbiamo riconosciuto in lui un dono, vera espressione di un amore eccezionale, seppure dotato di una maniera semplice di esprimersi come è quella di mio figlio Enrico”. La dottoressa ha poi chiarito le caratteristiche principali della malattia e i suoi aspetti più preoccupanti, come la tendenza a invecchiamento e neurodegenerazione precoci.  Sono stati menzionati i fattori e le proteine responsabili di alcuni dei sintomi e i loro effetti e si è parlato della complessità a scoprire i completi meccanismi metabolici che dal cromosoma soprannumerario condurrebbero alle caratteristiche note, considerando anche l’intricato network d’informazioni e d’influenze che s’intesse all’interno del genoma umano. Ha anche comunicato la scarsa attenzione che la ricerca biologica rivolge alla cura per la trisomia 21, più orientata alla miglior definizione dei metodi di diagnosi prenatale, e la diminuzione nel corso degli ultimi anni dei soggetti trisomici in Italia, al punto da far riferire alla sindrome di Down la definizione di malattia rara, con un affetto su duecento. Ed a realizzare ciò ha contribuito la frequenza di aborti e l’utilizzo della diagnosi prenatale come mezzo di riconoscimento e selezione e non opportunità di cura prima del parto. Ritorna perciò l’esperienza di Jérôme Lejeune, conosciuta dalla dottoressa Vacca per caso nel cercare un ente che finanziasse le sue ricerche sui mitocondri e su un estratto del tè verde che riattiva la loro funzionalità riducendo lo stress ossidativo e il deficit bioenergetico. Lo studio su questa molecola, l’epigallocatechina-3-gallato, è stato finanziato dalla Fondazione Lejeune, istituzione chiave in Francia per la ricerca sulla trisomia 21 e sulle altre patologie di origine cromosomica, fondata l’indomani della morte del genetista, nel 1996. L’estratto ha inoltre la proprietà di superare le barriere ematoencefalica e placentale e così si presenta come una possibilità di poter intervenire in senso terapeutico sul feto affetto, come era negli auspici del pediatra e genetista francese.
L’ultimo intervento è quello di Pierluigi Strippoli, medico e professore di Biologia Applicata dell’Università di Bologna, che ha voluto esordire con un ragguaglio storico sulla sindrome e sul suo studio, partendo dalla prima descrizione medica dell’inglese John Langdon Down ed evidenziando l’accento di razzismo che era contenuto nella prima definizione della condizione, “mongolismo”, a cui si associava la torma dei pregiudizi cui l’ignoranza sulla patologia dava adito. Jérôme Lejeune vince su queste congetture e dimostra, con la pura lucidità del medico e dello scienziato, ch’essi, i trisomici, come dopo il 1959 vengono chiamati, sono uomini e dotati di pari dignità rispetto a qualsiasi altro individuo. E le parole di Bruno, il ragazzo trisomico che al termine del funerale del medico francese, nel 1994 a Notre Dame, strappa un microfono per poter parlare, esprime palesemente questa realtà: “Ti ringrazio mio professore per quello che hai fatto per mio padre e mia madre. Grazie a te, sono fiero di me.” E’ un uomo che cambia la vita delle persone che lo incontrano, grazie a uno sguardo che non esclude nulla, nemmeno il dolore, ed è pronto a rischiare tutto – anche un premio Nobel – per la riuscita della sua impresa, quella di trovare una cura e di difendere i suoi piccoli pazienti. E cambia la vita anche a chi lo conosce indirettamente, come a Strippoli stesso, che racconta di aver scelto di dedicarsi alla ricerca subito dopo la laurea in Medicina e Chirurgia e di essere stato indirizzato dal suo professore allo studio della sindrome di Down. Per nulla motivato, intraprende tiepide ricerche e tuttavia scopre che, sebbene nel 2000 sia stato completato il sequenziamento del cromosoma 21, un gene di circa 100.000 basi non è ancora stato scoperto. Determinante è però l’incontro con la famiglia Lejeune e il monito di questa: “You must see patients.” Convinto, il medico bolognese inizia a frequentare l’ambulatorio e a incontrare i bambini, seguendo le orme del genetista francese, e da questo momento sgorgano giovani intuizioni, oltre all’inesauribile insegnamento che c’è sempre da imparare. “Mi pare che questi bambini non abbiano tanta difficoltà nel comprendere quanto più nel comunicare” afferma il ricercatore, che ha ripreso lo studio sulla malattia. “La  sindrome di Down è una malattia che fa paura: perché mentre per molte altre sono pochi i geni implicati, per questa non se ne conosce il numero preciso e quindi la sfida è nel trovare il musicista che stona”, nell’efficace metafora riportata anche in uno dei pannelli della mostra. E le intuizioni di Lejeune, considerato da Strippoli uno dei più grandi scienziati del ventesimo secolo, continuano ad essere studiate proprio per la loro lungimiranza, straordinaria per l’età storica e i mezzi: “Egli già diceva che la trisomia è una malattia da intossicazione, noi lo stiamo studiando, ed inoltre negli individui considerati normali v’è comunque una piccola percentuale di cellule mutate, trisomiche e monosomiche, pari in media al 2%, e la differenza con i soggetti Down sta in questa percentuale, che cresce, ma in uno spettro variabilissimo. Da cosa dunque noi decidiamo chi è normale e chi no e, ancor peggio, chi ha diritto alla vita e chi alla morte?” Conclude il ricercatore: “Inoltre Jérôme Lejeune era convinto che partendo dalla trisomia si possano capire le monosomie e noi ci stiamo rendendo conto che il modo migliore è questo.”
Cosa resta della vita di un uomo così grande, così arditamente innamorato della vita e dell’uomo, così realista eppure così ispirato dall’alto ideale? La certezza che si può continuare a cercare e, ancor più, la certezza che la risposta c’è, gli sguardi, le parole, i volti e l’opera di chi cerca ne sono la promessa.
Troveremo. E’ impossibile non trovare, è molto meno difficile che mandare un uomo sulla luna.
La mostra rimarrà esposta nei giorni dal 22 al 24 maggio nello spazio antistante l’Aula Magna del Policlinico, dalle ore 14.00 alle 20.00, il 25 maggio nella mattinata, e poi continuerà ad essere fruibile nell’aula D del palazzo di Biologia, nel Campus Universitario di Bari, negli orari 8.00-9.00, 13.30-15.00, 17.00-20.00.

Fonte: http://bari.ilquotidianoitaliano.it

martedì 21 maggio 2013

Infertilità: un lutto da elaborare



di Anna Fusina
                      







Intervista alla Dott.ssa Benedetta  Foà, psicologa clinica, counselour specializzata in post-aborto, psicoterapeuta in formazione presso la S.I.S.P.I., autrice di vari articoli sulla sindrome post-abortiva e sull’elaborazione del lutto nel post-aborto, coautrice del libro “Maternità Interrotte - Le conseguenze psichiche dell’IVG” (a cura di Cantelmi, Cacace, Pittino, ed. San Paolo)


                                



- Dottoressa Foà, che differenza c'è tra sterilità ed infertilità?


 

Dott.ssa Foà: Sono due concetti differenti. La sterilità è l’incapacità di concepire e l’infertilità l’impossibilità di portare a termine la gravidanza. Questa differenza non è solo concettuale perchè gli studi effettuati per conoscere  cause e trattamenti risolutori sono differenti. Non è lo stessa cosa parlare di una coppia con impossibilità a concepire o di una coppia che concepisce senza difficoltà ma non riesce a portare a termine una gravidanza.
Inizio modulo
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), relativamente ai concetti di sterilità ed infertilità,  ha stabilito una terminologia che si rifà a riferimenti temporali precisi:
  • sterilità primaria:  mancato concepimento per un periodo di due anni nonostante la regolarità dei rapporti sessuali;
  • sterilità secondaria:  impossibilità di concepire un altro figlio dopo una precedente gravidanza, nonostante la regolarità dei rapporti sessuali per due anni;
  • infertilità:  situazione di una donna che arriva ad avere una gravidanza ma non riesce a portarla a termine.
L’infertilità, è dunque l’incapacità di portare a termine una gravidanza in una donna in grado di concepire, per cui la donna può rimanere gravida anche più volte ma non riesce a portare a termine la gravidanza. Le cause possono essere sia di tipo organico che psicologico.
L’infertilità è considerata dall’OMS una patologia e in quanto tale ha delle possibilità di cura.

 -  Cosa può significare per una donna il fatto di non avere figli?

Dott.ssa Foà: La problematica della sterilità/infertilità e quindi della mancata capacità di riprodursi è sempre esistita ed è stata da sempre vissuta dalla donna con vergogna, come un castigo. Ne troviamo accenni nei miti e anche nella Bibbia, dove la sterilità è considerata una punizione divina. Nell’Antico Testamento  sono citate molte donne che, non potendo avere un figlio, lo “strappano” al cielo facendo preghiere, suppliche e/o pellegrinaggi. Nel Nuovo Testamento è riportato il caso di Elisabetta, cugina di Maria Santissima, la quale rimane gravida in età avanzata. Essa era da tutti considerata sterile e per questo si sentiva disonorata. Elisabetta si nasconde per portare avanti la gravidanza perchè si vergogna di essere  diventata madre in tarda età (Lc 1, 24-25).
Oggi il desiderio di un figlio, per quanto sia un evento naturale, è sottoposto a grandi pressioni sociali e culturali, riempiendosi di significati, valori e simbologie che di naturale hanno sempre meno e  che sempre più  rispecchiano l’evoluzione della società. E’ anche per questo che, generalmente, è proprio il sesso femminile quello che soffre maggiormente nel non riuscire a procreare, da una parte per i retaggi storici, dall’altra perché è la donna che vive appieno la maternità in tutti i suoi aspetti fisici e psicologici. Il desiderio di procreare in una coppia desiderosa di figli appartiene ad entrambi i sessi, ma la donna appare quella che patisce di più nella situazione di infecondità.
 Il desiderio di avere un bambino, come tutti i desideri, viene da lontano: è legato ai nostri vissuti dell’infanzia ed è stato preparato da bisogni e fantasie precoci ed inconsci. La non realizzazione di  questo sogno può essere fonte di frustrazione, stress e malessere. Questo in parte spiega l’attuale boom delle fecondazioni in vitro.

- Quali conseguenze vi possono essere a livello psicologico, relazionale e sociale in una coppia che vive la condizione di infertilità?   
                                      
Dott.ssa Foà: Il fenomeno dell’infertilità, secondo le diverse stime disponibili riguarda circa il 15-20% delle coppie. Le cause dell’infertilità, sia femminile che maschile, sono numerose e di diversa natura. Il numero di donne che non riesce a concepire e/o a portare a termine una gravidanza è sempre maggiore. Per quanto ci possano essere tante ragioni di natura biologica (stile di vita,  ricerca del primo figlio in età tardiva, aborti precedenti, uso di droghe, abuso di alcool, fumo,  condizioni lavorative, inquinamento), altrettante sono quelle di natura psicologica. La condizione di infertilità della coppia porta a vivere esperienze psicologiche, relazionali e sociali molto complesse e spesso legate ad un vissuto di disagio emotivo. Questo disagio è esperito in modo diverso a seconda della personalità della coppia: quando la maternità riveste un ruolo non solo di completezza personale ma anche un ruolo sociale, esso può essere molto forte. Per molte donne non avere figli può avere un significato di fallimento, di svilimento fino all’abbassamento dell’autostima. Se la donna trova la sua identità solo come madre, e non riesce a vedere in sè valore altro, allora la situazione psicologica può prendere percorsi tortuosi e dolorosi.
Anche l’uomo soffre per la mancata paternità, seppure in modo diverso. Oggi l’uomo è sempre più consapevole del suo ruolo e dell’importanza della sua presenza per i figli, anche se è vero che egli comprende appieno il suo ruolo alla nascita del figlio. Questo passaggio per la madre solitamente inizia prima. La mancanza del figlio atteso non  esclude l’uomo dallo stesso dolore che vive la donna; il modo di reagire alla perdita può essere vissuto però diversamente, per esempio nella tendenza a lavorare di più e a parlare meno con la partner.
 L’infertilità è un aspetto della vita che non è controllabile; alla sua scoperta si possono verificare tutta una serie di emozioni: sorpresa, negazione, rabbia, isolamento, vergogna, senso di colpa fino alla rassegnazione. La mancata capacità di elaborare il lutto, in questo caso del non essere fertili, può portare alla depressione e in alcuni casi limite anche allo scioglimento della coppia. A questo proposito il sociologo Alberoni afferma che a volte figlio viene vissuto inconsapevolmente come un prodotto di pregio, un lusso, un investimento affettivo ed emotivo che deve colmare un vuoto e spiega che  quel vuoto, troppo spesso, è in realtà un vuoto di coppia: si vuole un figlio e si fa un  figlio per tenere in vita un rapporto che altrimenti si esaurirebbe.
 

- Alcuni studi inglesi ed americani affermano che dopo un aborto volontario è più difficile portare a termine le successive gravidanze per il verificarsi di aborti spontanei ma anche a causa di infertilità. Quali ne sono le ragioni?  
                                                                                                              
Dott.ssa Foà: Si, questi studi inglesi e americani (cfr.: www.unchioce.info/resources.htm) affermano che dopo un aborto volontario è più facile che la donna non riesca a portare a termine le successive gravidanze. Ne risultano  aborti spontanei o infecondità. Uno studio pubblicato sul British Journal of Obstetric and Gynecology (2006) afferma che nelle donne che hanno abortito volontariamente si registra il 60% in più di possibilità di un aborto spontaneo.
 L’infertilità dopo un aborto procurato è dovuta a ragioni diverse: organiche o psicologiche. L’utero può essere stato danneggiato durante l’intervento abortivo e in conseguenza a ciò la donna non riesce a portare a termine successive gravidanze desiderate.  Ma l’infertilità può essere secondaria, cioè ci possono essere disagi di ordine psicologico per cui la donna non  resta gravida o non riesce a portare avanti la gravidanza anche se a livello organico non ci sono problemi. Succede cioè che donne e uomini riproduttivamente sani non riescano a generare.

-  Cosa si può fare nei casi di infertilità secondaria?

Dott.ssa Foà: Il lavoro dello psicologo in questi casi può essere fondamentale. Elaborare il lutto di un figlio perso in precedenza può essere la condizione necessaria per poter poi affrontare al meglio un’altra gravidanza. Elaborare i vari traumi di vita legati, anche inconsciamente, alla figura materna  diventa in questi casi un passo necessario per diventare madri. Legami patologici tra madri e figlie sono spesso alla base di situazioni invischiate che portano alla non accettazione della propria vita e di conseguenza di quella degli altri. Ho notato che madri incapaci di dare un sostegno affettivo sufficientemente buono, “alla Winnicott”, sono generatrici di figlie psicologicamente fragili che a loro volta faticano a dare la vita. Un lavoro di counseling con l’utilizzo dell’immaginario può portare in breve tempo allo sblocco di problemi profondi quanto inconsci. Le Esperienze Immaginative (Passerini) mirate possono portare la donna, ma anche l’uomo al superamento di blocchi e/o traumi psichici legati alla maternità/paternità in modo da poterli  affrontare con successo. Il poter dare un nome al dolore e verbalizzare vissuti spesso mai detti può far migliorare lo stato di salute in generale e quindi aumentare la stima di sè, così da ritornare a vivere meglio, se non addirittura, come avviene spesso, ad eliminare il problema infertilità.