Carlo Hanau, docente universitario di Programmazione dei
Servizi Sociali e Sanitari, prende spunto dalla recente censura in
Francia di un noto spot informativo sulla sindrome di Down, per proporre
alcune riflessioni dal taglio economico e sociale, su come i costi per
l’educazione di un bimbo con grave disabilità consentano poi di
raggiungere mete di autonomia per tutta la vita e anche risparmi enormi
sul fronte dell’assistenza
Rispetto a quanto scritto su queste stesse
pagine da
Marco Piazza,
sull’intervento del Consiglio Superiore per l’Audiovisivo (CSA)
francese nei confronti di alcuni canali televisivi che avevano trasmesso
lo spot
Dear Future Mom,
progettato in Italia dal CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni
delle Persone con Sindrome di Down), come docente di Programmazione dei
Servizi Sociali e Sanitari mi sento di affermare innanzitutto che il
diritto all’informazione è comunque da privilegiare, in quanto le scelte
– ancor più nel campo sanitario – devono essere fatte dopo un’
informazione esaustiva e corretta.
Molte persone, infatti, hanno una conoscenza della problematica della
sindrome di Down (
trisomia 21)
che risale all’epoca in cui la vita media di chi ne era affetto era
molto corta e le carenze di educazione erano tali, per cui si poteva
dubitare che quella vita valesse la pena di essere vissuta. Oggi si sono
fatti
grandi passi avanti nella quantità e nella qualità della vita di queste persone.
Dal canto loro, poi, gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale danno spesso una visione
troppo pessimistica
della vita delle persone con questa sindrome e anche di altre sindromi
più rare. Al contrario, le assistenti sociali addette alle procedure di
adozione tendono alla
sottovalutazione, quando non
anche a negare l’evidenza, della disabilità dell’adottando. Una ragione
economica potrebbe essere l’ingente spesa sanitaria che un bimbo con
sindrome di Down impone al Servizio Sanitario Nazionale. L’altra ragione
potrebbe essere il tentativo di
scaricare su una famiglia le spese del servizio sociale pubblico.
A tal proposito vorrei qui segnalare che in
Emilia Romagna
vi è da una decina d’anni una Direttiva che prescrive come la prima
comunicazione della diagnosi venga effettuata ai genitori “nuovi”,
avvalendosi della consulenza gratuita di
genitori “senior”,
appartenenti cioè a un’Associazione qualificata (già più di vent’anni
fa l’ANFFAS di Bologna, l’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con
Disabilità Relazionale e/o Intellettiva, proponeva questo servizio come
prassi). Ovviamente questa regola vale se i genitori nuovi accettano la
proposta.
Si tratta di un adattamento italiano del cosiddetto
Parent to Parent, formula USA, dove appunto i genitori senior vengono addirittura
pagati
per questi servizi di informazione, che si prolungano per la vita. Da
noi ci sono da decenni le Associazioni, come la citata ANFFAS, e si
costituiscono anche – gratis – gruppi di auto mutuo aiuto.
Purtroppo, da qualche anno, l’Azienda USL di Bologna
non convoca più
i genitori dell’ANFFAS – e neppure quelli dell’ANGSA (Associazione
Nazionale Genitori Soggetti Autistici) -, probabilmente ritenendo che
un’informazione esatta sui diritti di questi figli e di queste famiglie
generi
domande legittime, ma difficilmente sostenibili,
in questi tempi di risparmio selvaggio. Infatti, ai bambini con grave
disabilità si cerca di dare il meno possibile: ad esempio l’indennità di
frequenza (poco meno di 280 euro al mese), anziché quella di
accompagnamento, che vale quasi il doppio (poco più di 500 euro al
mese).
Come economista, devo ricordare che l’educazione di un bambino con
disabilità grave costa più di 30.000 euro all’anno fin dalla scuola
dell’infanzia, ma che tale educazione intensiva consente di raggiungere
mete di autonomia per tutta la vita, le quali frutteranno una
vita migliore e
risparmi enormi
per l’assistenza degli adulti e del cosiddetto “dopo di noi” che – nel
caso peggiore, di sindrome di Down con comportamento autistico – può
arrivare a 3 milioni di euro per una vita.
Oggi l’educazione speciale e una migliore tolleranza da parte della società consentono a queste persone di passare
da assistite a contribuenti, se vengono inserite in un contesto lavorativo adeguato. E anche il
tirocinio lavorativo può essere utilizzato dalle persone con trisomia 21. Nella Regione Emilia Romagna, ad esempio, la Legge sui tirocini del 2013
[Legge Regionale Emilia Romagna 7/13, N.d.R.] e i relativi
Regolamenti del settembre successivo, che l’economista assessore
Patrizio Bianchi ha
fatto approvare con il consenso delle Federazioni FAND (Federazione tra
le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità) e FISH
(Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), permettono
l’uso dell’istituto del tirocinio anche per queste persone,
senza gravare sulle imprese che danno loro accoglienza.
* Docente di Programmazione dei Servizi Sociali e Sanitari all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Fonte: superando.it