lunedì 30 giugno 2014

Volontarie in India sotto copertura per fermare gli aborti sesso-selettivi compiuti illegalmente


(traduzione a cura di Anna Fusina)

Nel 1994 è stata approvata in India una legge federale, denominata
Pre-Conception Pre-Natal Diagnostic Technique Act, allo scopo di vietare aborti selettivi in base al sesso del nascituro. A causa degli aborti di un allarmante numero di bambine, in India la proporzione è scesa a 888 donne ogni 1000 uomini. Ma famiglie in tutto il paese stanno ancora compiendo gli aborti delle loro figlie in utero, ed i medici che eseguono le procedure stanno sfidando la legge.

Secondo
WomensENews, prima del 2010, nello Stato del Rajasthan, erano stati schedati 54 casi di aborto sesso-selettivo in relazione alla legge sull'aborto selettivo del sesso. Ma entro il luglio del 2012, il numero dei casi era salito a 562. Ventitré medici hanno perso le loro licenze e lo Stato ha sporto denuncia contro 153 medici. Questo grazie a volontarie incinte che stanno sotto copertura per rivelare i casi di medici che compiono illegalmente aborti sesso-selettivi.

Ciascun
a delle volontarie si reca in una clinica per effettuare un'ecografia, dicendo al medico che vuole interrompere la gravidanza se il nascituro è una bambina. Quando il medico o il professionista accetta di compiere l'aborto, le donne convocano la squadra incaricata dallo Stato, la quale arresta il medico. Le donne sono quindi testimoni-chiave nelle udienze contro gli abortisti.

Queste donne
volontarie si stanno assumendo un rischio enorme. Nel tempo che intercorre tra l'arresto del medico e l'udienza, molte volontarie ricevono minacce da medici abortisti al momento liberi su cauzione, nel tentativo impedire loro di testimoniare.

Secondo WomensENews, un
a volontaria Rani Singh se l'è cavata per miracolo quando la squadra che avrebbe dovuto entrare nella clinica ed arrestare il medico è stata bloccata nel traffico. Singh ha temuto di essere pericolosamente vicina a subire l'aborto. Ma ha riflettuto rapidamente e prima che la potessero portare nella stanza dove venivano compiuti gli aborti, si è chiusa a chiave in bagno fino a quando la squadra è finalmente arrivata.

"Noi non saremmo stati in grado di effettuare queste operazioni senza l'aiuto di queste donne"- ha
dichiarato Kishanaram Easharwal, che dirige l'unità dello Stato incaricata di far rispettare la legge Pre-Conception Pre-Natal Diagnostic Technique Act, a WomensENews. "Esse giocano un ruolo fondamentale e sono la nostra forza. Quindi non riveliamo l'identità della donna incinta che ci aiuta anche se comunichiamo la notizia dell'ispezione ed i nomi di coloro che vengono arrestati dal nostro team".

Lo
Stato sta attualmente considerando di offrire ricompense finanziarie alle donne che coraggiosamente si offrono come volontarie. Ma, per il momento, le donne come Singh sono giustamente felici di prendere parte alla chiusura delle cliniche.

(articolo originale in lingua inglese in http://liveactionnews.org/
tradotto per gentile concessione di liveaction.org)








Preghiera per un figlio




Da quando sei nato non ho più chiesto nulla per me...
Ogni volta che alzo gli occhi al cielo è per pregare per te...
Chiedo solo che tu stia bene, che tu sia forte,
che tu sia d' animo nobile e generoso,
che tu possa avere una vita meravigliosa e serena...
Chiedo solo a Dio di aiutarmi ad essere sempre meritevole dell'immenso dono che mi ha fatto e di guidarmi in questo percorso così incredibile e meraviglioso che è essere tua madre.


Fonte: Il Pellegrino di Padre Pio

venerdì 27 giugno 2014

T’incontro prima di nascere


 



di Anna Fusina
A partire da ottobre, presso l'Ospedale Mauriziano di Torino, partirà il progetto “T'incontro prima di nascere” (TPN), realizzato dall'Associazione Promozione Vita di Torino. Ne parliamo con Valter Boero, Presidente di Promozione Vita e del Movimento per la Vita di Torino.
Prof. Boero, come è nata l'idea di questo progetto?
Il progetto “T'incontro prima di nascere” (TPN) è maturato sulla base dell’esperienza del Gruppo di lavoro “Allattamento” nell’ambito della Conferenza di partecipazione presso l’Ospedale Mauriziano di Torino. In questo Gruppo di lavoro si è constatato come la diffusione di buone pratiche sia direttamente correlata alla comprensione profonda di ciò che accade nell’esperienza della maternità e nelle relazioni umane che ci riguardano più direttamente. Nell’esperienza di volontariato di molti anni si è anche osservato che mentre per molte attività umane vi è una notevole pianificazione, per la maternità il tempo investito per comprendere ciò che accade è spesso assai modesto, fatta eccezione per l’ultimo trimestre di gravidanza in cui ci si prepara al parto, grazie ai corsi organizzati dalle ASL e dalle Aziende ospedaliere.
Attualmente la gravidanza è spesso molto medicalizzata...
Prof. Boero: La maternità non è una malattia. E' una esperienza naturale straordinaria che coinvolge la madre, il figlio e il padre, anche se a volte si manifesta una tendenza a sanitarizzare l’evento con un significativo aggravio di spese per le Strutture sanitarie. E’ utile ricordare che è stato ampiamente dimostrato che nella relazione madre/figlio e padre/figlio prima della nascita vengono gettate le basi per lo sviluppo delle capacità cognitive e relazionali del bambino. La ricerca scientifica mette attualmente a disposizione conoscenze e tecniche per comprendere cosa accade veramente in una gravidanza fisiologica. Una conoscenza appropriata della realtà consente a tutti gli attori di dare il meglio di sé limitando gli eccessi negli accertamenti diagnostici prenatali e rendendo capaci di affrontare situazioni di difficoltà come per esempio esiti diagnostici non previsti o eventuali interventi di natura sanitaria.
Quali obiettivi si prefigge il progetto “T'incontro prima di nascere”?
Prof. Boero: Gli incontri che vengono offerti dal progetto TPN vogliono essere un contributo affinchè non solo lo sviluppo biologico, ma tutta l’intensità della vita psichica del bambino e tutta la forza della relazione con lui siano conosciute in profondità e vissute consapevolmente da madre e padre, amici e conoscenti, volontari e operatori, che condividono i tempi iniziali della gravidanza. La nostra proposta è stata affinata dal 2009 in oltre 20 corsi svolti a Torino, Moncalieri e Rivoli ed il personale coinvolto è costituito da professionisti volontari.

Quali sono i temi che verranno trattati nei vostri incontri e come verranno svolti?

Prof. Boero: I temi che verranno trattati nel nostro ciclo di cinque incontri saranno: la relazione madre - padre – figlio e ambiente prima della nascita; l’alimentazione del bambino prima di nascere; la tutela sul lavoro e sostegno della maternità e della paternità, l'allattamento al seno: un’opportunità per la mamma e il bambino; madre e figlio: mistero di appartenenza nel linguaggio dell’arte.
Fra i docenti del corso annoveriamo la Dott.ssa Paola Castagna, ginecologa dell'Ospedale S. Anna di Torino, la Dott.ssa Francesca Campagnoli, pediatra all'Ospedale S. Anna di Torino, il Dott. Claudio Larocca, consulente del lavoro, la Prof.ssa Marisa Tucci, docente di storia dell’arte.
Durante i primi due incontri ci sarà la possibilità per le mamme in attesa di visualizzare le immagini ecografiche 'in diretta' del figlio attraverso la proiezione delle immagini sulle pareti dell’aula o su un grande schermo, senza fretta, come in un incontro tra amici. Si potranno vedere così con calma delle immagini meravigliose! Nei corsi che abbiamo svolto precedentemente ho potuto vedere personalmente le immagini di bambini in utero che si succhiavano il dito, o che stavano giocando con il cordone ombelicale come se fosse una liana, o che aprivano delicatamente la bocca per bere il liquido amniotico.... Una volta mi è capitato addirittura di vedere un bambino che dormiva beatamente, ma quando è stato chiamato dalla mamma con il suo nome, si è improvvisamente risvegliato! Sono immagini davvero emozionanti!
E' possibile in questa sede visualizzare anche la progressione della gravidanza, poiché la mamma che partecipa al corso ha la possibilità di vedere le immagini ecografiche dei bimbi di altre mamme che si trovano in un'epoca di gravidanza diversa dalla sua.

A chi è rivolto il vostro progetto?

Prof. Boero: I destinatari del progetto TPN sono tutte le mamme che sono in attesa di un figlio, anche accompagnate dal marito o dal partner, che desiderano conoscere in maggiore dettaglio cosa accade soprattutto nei primi 6 mesi di gravidanza.
Per questioni di funzionalità ogni gruppo accoglie al massimo 12 mamme e 12 accompagnatori.

Quando e dove verrà effettuato?

Prof. Boero: Ad experimentum si ipotizzano due sessioni: una autunnale ed una primaverile. In particolare si propone di impegnare 5 sabati consecutivi dalle 10 alle 12: ad esempio i 5 sabati dal 18 ottobre al 22 novembre 2014 e in un ciclo successivo i 5 sabati tra il 2 maggio e il 6 giugno 2015.
Il corso è gratuito e verrà effettuato presso l’Azienda ospedaliera Mauriziano di Torino.
Ci si potrà iscrivere nel reparto di Ostetricia e Ginecologia (previo accordo con la Direzione); presso i Consultori di zona; presso lo sportello di Promozione Vita (corridoio Rosselli) via mail: info@vitatorino.org, via telefono: 011-5682906, via numero verde AVRA’: 800 8536999.
E’ auspicabile che le mamme siano accompagnate dal marito o dal partner.



 

mercoledì 25 giugno 2014

Genitori adottivi e valore simbolico della gravidanza


di Anna Fusina

Qual è il valore della gravidanza?
Possono i genitori adottivi vivere il valore simbolico della gravidanza?
Secondo la Dott.ssa Nazarena Prina, psicologa e mamma adottiva, i genitori adottivi possono sperimentare nel percorso adottivo tutto quello che la gravidanza insegna ai genitori naturali.
La gravidanza insegna ad aspettare, ad attendere:
Quest'attesa, quest'aspettare nove mesi che il bambino si formi, che il bambino cresca, insegna la pazienza. Ma ognuno di noi, aspirante genitore adottivo, l'ha vissuta: i colloqui con gli psicologi, le pratiche, i documenti e, se qualcuno è nato un po' più lontano, le corse per andarseli a fare nel luogo di nascita (…). La gravidanza mi insegna ad esercitare la pazienza, perché probabilmente, come genitore, mi servirà la pazienza e, se mi è dato di vivere questo periodo è perché la devo imparare. (…) La pazienza, quindi, è proprio una competenza che devo avere, che devo interiorizzare come genitore; è un ingrediente che mi serve nel compito educativo”.1
Continuando nell'analisi di questa gravidanza simbolica, la Dott.ssa Prina osserva che anche il genitore adottivo deve gestirsi tutta l'ansia che deriva da essa, come del resto avviene per la gravidanza naturale. Per il genitore 'biologico' l'ansia sarà causata dall'incertezza sulla salute del figlio, sull'eventuale presenza di handicaps, sul fatto di poter portare a termine la gravidanza, ecc.
Per il genitore adottivo essa sarà determinata dall'incertezza sull'acquisizione dell'idoneità, sul tempo dell'arrivo del bambino in famiglia, sulla scelta di affidarsi ad un determinato ente autorizzato piuttosto che ad un altro, ecc.
L'ansia si deve imparare a gestire sin da subito per riuscire poi, in tempi successivi, a non proiettarla sul figlio.
Durante la gravidanza biologica la madre vive la bellissima esperienza del portare una nuova vita dentro di sé.
La Dott.ssa Prina osserva che anche durante il periodo che precede l'arrivo del figlio adottivo in famiglia, si ha la sensazione di avere il figlio già dentro di sé, si vive l'esperienza di essere già in due.
In gravidanza si fantastica sul bambino, si prova ad immaginare come sarà, a chi somiglierà. Se sarà maschio o femmina, ecc.
Anche i futuri genitori adottivi immaginano il bambino che arriverà. Se il figlio non si immagina, ci si considera così poco degni di avere un figlio da non poter permettersi neppure di pensarlo; se, invece, lo si immagina troppo, si vuole un figlio preconfezionato.
Anche il fantasticare sul bambino, il progettare sul bambino, nel giusto modo, ci aiuta ad avere certo delle aspettative, ma delle aspettative che non lo incapsulino, cioè che gli permettano comunque di diventare quello che è; aspettative che partono dalla coscienza dei talenti e dei limiti che lui ha.”2
In gravidanza si vive l'esperienza dell'accoglienza:
Il genitore adottivo non sa niente del passato del suo bambino. E' un'accoglienza totale. 'Ti accolgo con il tuo passato fisico e psichico'. Che cosa t'insegna l'accoglienza?
Ti insegna a non giudicare. 'Ti accolgo così come sei' (…). l'accoglienza in fondo è proprio un non-giudizio”.3
Le caratteristiche della gravidanza naturale, presenti con modalità diverse nella gravidanza simbolica dell'esperienza pre-adottiva, costituiscono, a parere della Dott.ssa Prina, elementi guida del rapporto educativo:
Attraverso la pazienza, la gestione dell'ansia, l'interiorizzazione del mio bambino, gli permetterò poi di staccarsi e vivere la sua vita autonoma.
Attraverso l'accoglienza, che è un non-giudizio, riesco a vedere il mio bambino proprio come altro da me e riesco a valorizzarlo in tutte le sue fatiche, le sue gioie, i suoi difetti; solo allora riesco a stimolarlo perché anche questi difetti, queste fatiche, il suo passato, diventino elementi di crescita.”4


1N. PRINA, Educare è evidenziare il positivo nel presente: come valorizzare la storia dei figli adottivi? (a cura di Famiglie per l'Accoglienza), Sintesi degli incontri sull'adozione anno 1997, Testo pro-manuscripto non rivisto dai relatori, pp. 4-5
2N. PRINA, cit., p. 8
3N. PRINA, cit., p. 8
4N. PRINA, cit., p. 11-12

domenica 22 giugno 2014

Gender: una teoria scientificamente infondata

Di - 22 giugno 2014
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La teoria del “gender” è al centro di un intenso dibattito dalle ricadute molto vaste.

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Ma si tratta di una teoria fondata o è solo un’astratta speculazione?

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Su questo deve avere l’ultima parola la scienza.

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 Teoria del gender:  
“Il genere è un prodotto della cultura umana e il frutto di un persistente rinforzo sociale e culturale delle identità: viene creato quotidianamente attraverso una serie di interazioni che tendono a definire le differenze tra uomini e donne. A livello sociale è necessario testimoniare continuamente la propria appartenenza di genere attraverso il comportamento, il linguaggio, il ruolo sociale. Si parla a questo proposito di ruoli di genere.
In sostanza, il genere è un carattere appreso e non innato. Maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa” (Wikipedia).

La teoria del “gender” è al centro di un ampio fenomeno sociale che sta attraversando l’intero Occidente, si tratta di una teoria dalla quale deriva tutta una serie di ricadute anche legislative. Ed è proprio a causa di queste ricadute che è necessario stabilire la valenza scientifica delle teoria stessa. Nel cercare di far luce su questo punto sorprende la mancanza di studi scientifici che mostrino degli elementi di corroborazione all’ipotesi “gender”, ma proprio in questi ultimi tempi un breve documentario norvegese ho mostrato in modo sintetico e chiarissimo l’assenza di tali elementi. Si tratta di un documentario che stranamente è stato realizzato non da un giornalista scientifico ma da Harald Meldal Eia, un documentarista e attore norvegese, questo però non deve far pensare che si tratti di un lavoro non qualificato, la qualità del documentario è nel livello delle figure professionali intervistate e nei loro studi.
Stiamo parlando de “Il paradosso norvegese”, titolo che prende spunto dal fatto che nel paese dove maggiore è l’uguaglianza di trattamento tra i due sessi, maggiore è la differenza nell’orientamento nel mondo del lavoro. Il video è stato sottotitolato in italiano ed è disponibile su Youtube:




https://www.youtube.com/watch?v=2qx6geFpCmA

L’autore ha incontrato diversi esponenti della ricerca in ambito biologico e sociologico che hanno preso posizione sul gender i quali da posizioni contrapposte hanno esposto le loro ragioni. Il primo personaggio ad essere incontrato è Camilla Schreiner, dell’università di Oslo che nello studio intitolato “How do students perceive science and technology?” del 2009, condotto su un campione di circa 50.000 studenti di 40 paesi ha trovato dei risultati molto interessanti riguardo le scelte e gli interessi dei due sessi.
Vediamo i grafici che evidenziano i dati raccolti:
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Fig.1
Alla domanda “scienza e tecnologia sono importanti per la società” (Fig.1), come illustrato nel grafico qui sopra, maschi e femmine hanno dato risposte simili e poco differenziate in base al paese di appartenenza, fatto che fa pensare che la diversa cultura ed educazione poco abbiano influito su questo punto.
Alla domanda sullo studio scolastico delle scienze le risposte hanno però iniziato a mostrare interessanti differenziazioni in base ai paesi:
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Fig.2
Come è possibile constatare (Fig.2) le risposte mostrano un maggior gradimento dello studio scolastico delle scienze nei paesi meno industrializzati e meno orientati ad una politica di uguaglianza tra i sessi. Ma non è tutto, ancor più sorprendenti sono state le risposte alla domanda “ti piacerebbe diventare uno scienziato?“:
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Fig.3
In questo caso (Fig.3) si vede confermata la prevalenza di risposte positive nei paesi non industrializzati e la differenziazione tra maschi e femmine indipendentemente dalla cultura in cui i soggetti si sono formati.  Ma davvero notevole è la differenza tra maschi e femmine quando la domanda diventa sul lavoro che si desidererebbe svolgere, ed esattamente: “ti piacerebbe lavorare in ambito tecnologico?“. Ecco i risultati:
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Fig.4
Quello che nessuno si sarebbe aspettato (Fig.4) è che nei paesi dove maggiore è stata l’uguaglianza di educazione impartita a maschi e femmine, maggiore è la differenziazione nelle scelte tra i due sessi. Questo è il “paradosso norvegese”.  Come si può constatare la Norvegia è risultato il paese dove maggiormente femmine e maschi hanno espresso una forte differenziazione nelle preferenze con una conferma dello “stereotipo” che vuole i maschi più propensi alle attività tecniche rispetto alle femmine. Eppure secondo le statistiche la Norvegia è ai primissimi posti nell’educazione rispettosa dell’uguaglianza di genere, come risulta dagli studi al riguardo:
gender gap index
La conclusione a cui  giungono i ricercatori è che nei paesi in via di sviluppo i lavori in ambito tecnologico vengono visti come il mezzo migliore di progresso sociale o semplicemente come opportunità d’impiego, nei paesi più sviluppati invece la libertà di espressione è maggiore e allora le libere scelte si possono manifestare meglio mostrando una maggiore preferenza anche per altri campi lavorativi e soprattutto, per quel che concerne il gender, le femmine hanno espresso in una percentuale significativamente diversa il desiderio di svolgere altre attività rispetto a quelle tecniche.
Conclusione: dove esiste la maggiore libertà educativa e di espressione le femmine e i maschi esprimono scelte differenti. E questa è una confutazione della teoria del gender che assume invece una differenza solo somatica tra maschi e femmine.
 L’inchiesta prosegue con un’intervista a Cathrine Egeland, dell’Isituto di ricerca sul lavoro, che ha scritto diversi rapporti sulla scelta dei mestieri da parte dei generi, come “Gender equality and quality of life : a Norwegian perspective“, nel quale si evince però solo una generale diffusione tra la popolazione dell’idea che l’uguaglianza di genere sia una cosa positiva e debba essere conseguita. Una ricerca sulle convinzioni riguardo alla teoria dell’uguaglianza del gender, non sulle loro preferenze personali, si tratta cioè di uno studio su quanto l’idea di gender sia diffusa tra la popolazione, non si occupa di dimostrarla o no, e si tratta di una differenza sostanziale.
Sullo stesso versante anche il ricercatore Jørgen Lorentzen del Centro di Ricerca interdisciplinare sul Genere dell’Università di Oslo, che alla domanda sull’esistenza di differenze reali tra il cervello maschile e quello femminile risponde che si tratta di “studi superati” e che a parte i caratteri sessuali primari e secondari, per tutto il resto non esistono differenze. Per Lorentzen le differenti scelte evidenziate nella ricerca di Camilla Schreiner sono dovute (nonostante le diverse culture rappresentate) esclusivamente al condizionamento educativo.
Per cercare di fare chiarezza su questo punto l’intervistatore si sposta poi negli USA per incontrare il Dr. Richard Lippa, Professore di Psicologia presso la California State University, il quale ha svolto una ricerca su un campione estremamente grande costituito da circa 200.000 persone di 53 paesi del mondo, una ricerca che ha confermato le differenti scelte e preferenze riscontrate nella ricerca di Camilla Schreiner, con i maschi più orientati verso la meccanica e le femmine verso i rapporti sociali. Alla domanda se questo sia conseguenza dell’educazione anche il prof. Lippa risponde che in tal caso si dovrebbero riscontrare differenze tra i vari paesi e le varie culture, cose che però non si verifica. Ma lo stesso Lippa afferma che per avere una risposta significativa nella scienza bisogna cercare altre conferme, in questo caso bisogna cercare prove di un differente orientamento del cervello maschile e femminile sin dalla nascita.
Una prima conferma giunge dal prof. Trond Diseth, dell’Oslo University Hospital, che lavorando con bambini che presentano deformazioni ai genitali ha elaborato un test per verificare le scelte riguardo ai giocattoli riscontrando che fin dall’età di nove mesi esse sono differenziate tra maschi e femmine. Per Diseth i bambini nascono con delle differenze innate che l’ambiente può successivamente rafforzare o diluire. Ma gli studi di Diseth non appaiono conclusivi su questo argomento, e così la domanda viene posta al prof. Simon Baron-Cohen dell’Università di Cambridge e membro del Trinity College.
Gli studi di Cohen su bambini neonati (quindi con la certezza di non aver ricevuto alcun condizionamento ambientale di tipo culturale) sono stati pubblicati nel 2000 sulla rivista peer review Elsevier nell’articolo “Sex differences in human neonatal social perception“, i risultati non lasciano spazio a dubbi: esistono caratteristiche innate (con una irriducibile componente biologica) e diversificate nei cervelli dei bambini maschi e femmine, come dichiarato nell’Abstract:
gender cohen
La ricerca ha dimostrato che le differenze tra i sessi sono “in parte biologiche all’origine”. Non del tutto biologiche, non si contesta l’influenza dell’ambiente, ma si accerta una predisposizione biologica, e questo sarà un punto molto importante per affrontare le questioni educative legate alla teoria del gender.
Il prof. Cohen ha poi in seguito sostenuto che non deve essere considerato un atteggiamento “sessista” il ritenere che la biologia condizioni il comportamento, come avvenuto ad esempio nel 2010 sulle colonne del GuardianIt’s not sexist to accept that biology affects behaviour“.
Infine è la volta della prof. Anne Campbell dell’Università di Durham che partendo da un approccio evolutivo giunge alla conclusione che il cervello maschile e femminile devono essere diversi perché l’evoluzione darwiniana non può che averli selezionati secondo caratteristiche differenti, tesi esposta nel libro “A Mind Of Her Own-The evolutionary psychology of women” pubblicato dall’Oxford University Press. Se è vero che esistono “intersezioni” di interessi tra i sessi, è vero anche che esistono caratteristiche “tipiche” legate a geni selezionati dall’evoluzione.
Con l’intervista alla prof. Campbell il documentario volge al termine, a questo punto restano delle importanti considerazioni che, in assenza di eventuali smentite, devono guidare un approccio scientifico alla teoria del gender:
1- La teoria del gender si basa su un’ipotesi fondata solamente su un presupposto “teoretico”.
2- I sostenitori della teoria del gender non la supportano con ricerche scientifiche.
3- Dove le ricerche scientifiche sono state condotte hanno mostrato una convergenza verso la dimostrazione di una differenza innata, non solo morfologica ma anche psicologica, tra maschi e femmine.
4- La cultura può confermare o contrastare questa differenza biologica.
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Di fronte a questi dati un atteggiamento scientificamente fondato di educatori, docenti, divulgatori e politici deve condurre a delle coerenti conseguenze:
a- La componente di differenza innata tra maschi e femmine va insegnata nei corsi di biologia a tutti i livelli di istruzione.
b- Fornire indicazioni o materiale didattico che vada nel senso di una negazione di tale componente di differenza innata non è scientificamente corretto.
c- Orientare psicologicamente un bambino in senso opposto a quello della sua componente innata deve essere considerata una forzatura arbitraria lesiva dei diritti della persona.
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Quella del gender è, in conclusione, da considerarsi una teoria confutata. Proporre tale teoria come base per le scelte sociali, culturali, educative e legislative è da considerarsi un atto ingiustificato.
In nome della scienza.

Fonte: http://www.enzopennetta.it

venerdì 20 giugno 2014

I figli non ci appartengono


di Anna Fusina


I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perchè la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suoi vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo
. (K. Gibran)

Françoise Dolto, nota psicanalista francese, sosteneva che i figli non ci appartengono. Diceva che i genitori dovrebbero 'adottare' i propri figli, ma purtroppo spesso non lo fanno: “non si ha mai un figlio come lo si è sognato, si ha un certo tipo di bambino e bisogna lasciare che cresca secondo la sua verità: spesso, invece, facciamo il contrario.1
Secondo Andrea Canevaro, professore di Pedagogia all'Università di Bologna “un bambino deve essere accettato per quello che è, e nello stesso tempo deve essere desiderato per quello che lui sarà, al di là di quello che noi vorremmo che lui diventi.2
Il bambino è una persona 'originale', cioè una persona che potrà acquisire uno sviluppo pieno esclusivamente se gli sarà consentita l'acquisizione di un'identità propria, che lo porterà a diventare qualcuno “mai esistito prima (nemmeno nell'immaginazione di chi lo ama o lo ha messo al mondo o lo sogna conforme a modelli ideali percepiti come assoluti). Un buon genitore rispetta il 'progetto' misterioso nascosto nel seme originario di ogni figlio, non lo considera figlio di sua proprietà, ma 'figlio della vita' stessa, di quella vita in cui dovrà, un giorno, inserirsi autonomamente e da protagonista, abbandonando la matrice psicologica genitoriale in cui è cresciuto.”3
La genitorialità – afferma la Prof. Vanna Jori, docente di Pedagogia alla Cattolica di Milano – è il primo progetto pedagogico: progetto per sé dei singoli attraverso le relazioni familiari; progetto di coppia nella relazione col partner per compiere un percorso comune; progetto per il figlio, che poi diviene progetto con il figlio attraverso una perenne mediazione tra le aspettative nei suoi confronti e ciò che il figlio quotidianamente, con margini sempre crescenti di autonomia, sceglie per sé.”4
Un proverbio del Québec (Canada) recita che “i genitori possono regalare ai figli solo due cose: le radici e le ali.”5
Essere padre e madre è 'stare accanto' al figlio in tutte le fasi del suo sviluppo: nella primissima età essendo di protezione, guida e stimolo al bambino per la conoscenza di se stesso e del mondo in cui si trova a vivere, utilizzando le superiori capacità fisiche e psichiche di cui si è dotati in quanto adulti; successivamente, fungendo da supporto per il distacco psicologico dalla famiglia e per le esperienze di graduale inserimento nell'ambiente extrafamiliare e l'acquisizione dell'autonomia personale.
Secondo Gloria Soavi, psicologa e psicoterapeuta, “il bambino ha un bisogno fondamentale per poter crescere in maniera armonica e sviluppare le sue potenzialità, e al di là di ogni categoria sociale, psicologica e pedagogica, si può sintetizzare in un unico bisogno primario (…): quello di essere amato. Questo bisogno di amore si articola in diverse azioni; l'essere accettato, accolto, accudito, seguito, riconosciuto nei suoi bisogni e nelle sue necessità, rinforzato nelle sue aspettative e capacità, tutto quello che gli dà la possibilità di creare un legame, che sarà il legame primario su cui poi costruirà tutti i legami successivi e con cui si confronterà emotivamente per tutta la vita.
Chi è genitore sa di quante attenzioni costanti e coerenti nel tempo hanno bisogno i piccoli per crescere e per diventare degli adulti equilibrati e sufficientemente felici. L'essere figlio si sostanzia quindi fondamentalmente nella relazione con i genitori attraverso la costruzione di questo legame così unico e complesso che si sviluppa nell'arco della vita e che muta continuamente, ma rimane come essenza, come radice e se è positivo come risorsa”.6
E' assolutamente necessario dunque che la relazione genitori-figlio si basi sull'amore incondizionato per il bambino.
L'amore è però un sentimento soggetto ad alcuni rischi: può diventare possesso, egoismo, ricatto, proiezione di se stessi sull'altro. Anche l'amore generoso, infinito, disinteressato di un padre e di una madre verso il figlio, può, in alcuni casi, trasformarsi in possesso egoistico del bambino, può sfociare in atteggiamenti autoritari, in controlli ossessivi nei suoi confronti.
Il Cardinale Angelo Scola rileva come “la tentazione del possesso, quella di non permettere al figlio di essere fino in fondo 'altro', cioè veramente libero, minaccia continuamente l'amore paterno e materno. Accettare il rischio della libertà dei figli, in effetti, costituisce la prova più radicale nella vita dei genitori: al figlio si vorrebbe risparmiare qualunque dolore, qualunque male. Questa drammaticità, presente in ogni rapporto umano, si fa particolarmente acuta nel rapporto padre/madre-figlio. Il legame è, qui, a tal punto potente da dare la percezione che, se l'altro – il figlio – si perde, mi perdo anch'io – madre o padre -. Allora diventa forte la tentazione di ridurre il figlio a sé, facendone una sorta di prolungamento della propria persona.”7
Come osserva Guido Cattabeni, medico specialista in psicologia clinica, “per progredire nelle sue relazioni interpersonali, al bambino necessita l'esperienza, iniziale e successivamente confermata, di essere amato per se stesso, sempre, qualsiasi cosa gli succeda o comunque si comporti. Solo da questa esperienza fortemente valorizzante può nascere nel bambino la fiducia in se stesso e negli altri, il desiderio e la capacità di amare l'altro come 'se stesso', la disponibilità a far proprie le regole della convivenza sociale e a contribuire a migliorarle (acquisizione di un ruolo sociale creativo).8
Il figlio dunque deve essere accolto ed amato per se stesso e non per le sue qualità, dal momento in cui vi è la sua presenza in famiglia.
I genitori, nel donarsi al figlio, devono a volte saper 'rinunciare a se stessi'.
La fecondità è un'esperienza di dono e di distacco da sé.”Essa insegna che perdere per ritrovare (Mc 8,35) è il segreto della vita, senza la quale essa perde di senso. (…) Il segreto della vita non risiede della vita stessa, da trattenere gelosamente: occorre rinunciare a sé per dedicarsi a qualcuno. Se la vita vuole essere ritrovata deve essere perduta nell'atto della libertà che acconsente ad essa come ad una grazia e a una promessa”.9



1L. ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, Siamo tutti figli adottivi. Otto unità didattiche per parlarne a scuola, Rosenberg & Sellier, Torino 1991, p. 128
2A. CANEVARO, prefazione all'edizione italiana di J. Cartry, “Genitori simbolici”, Edizioni Dehoniane, Bologna 1989
3L. ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, cit., p. 174
4http: // iis.comune.re.it/osservatorio-famiglie/strumenti/strumenti 3/012_9.htm
5L. ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, cit., p. 123
6G. SOAVI, Quando il bambino impara ad essere figlio in “La famiglia per il bambino” (a cura di Associazione F.I.A.B.A. di Vicenza e A.N.F.A.A. di Torino), Atti del Convegno, Vicenza 8/11/2003, p. 1
7A. SCOLA, Genealogia della persona del figlio in “I figli: famiglia e società nel nuovo millennio”, Congresso Internazionale Teologico-Pastorale – Atti (11-13/10/2000). Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001, p. 103
8L. ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, cit., p. 174
9W. NANNI (a cura di), Adozione, adozione internazionale, affidamento, Piemme, Casale Monferrato 1997, p. 95

mercoledì 18 giugno 2014

Diritto al figlio o diritto del bambino ad una famiglia?


di Anna Fusina

Il desiderio di un figlio da parte di una famiglia è del tutto naturale ed umanamente comprensibile.
La famiglia è fondamentalmente orientata alla generazione, anzi, si può dire che l'aspirazione alla genitura è insita nella persona, è “scritta nel DNA” di ognuno.
Attualmente però si assiste sempre più spesso alla rivendicazione del diritto ad avere un bambino, magari con qualunque mezzo, più o meno eticamente lecito.
Così, talvolta, concentrata sulla presunta onnipotenza degli aspiranti genitori, - come ha affermato Gianmario Fogliazza – la procreazione biologica si trova a ridurre il figlio nel cosiddetto prodotto del concepimento; non importa quando e come conseguito o raggiunto, interessa ottenere quanto desiderato, comunque ed in ogni caso. La procreazione viene così ad essere vissuta anche secondo logiche di riproduzione, dove il figlio ridotto a prodotto, è con sincero sentimento desiderato, ma con assoluta determinazione preteso: presunzione assicurata dalle biotecnologie e tutelata da un'arrendevole e mediocre prassi giuridica in grado di considerare la “esigibilità della prestazione”, ma non l'esito della stessa.”1
Secondo Adriano Pessina “la tecnologia ci sta abituando all'idea che non esistano limiti ai nostri desideri e progetti ma soltanto ostacoli (qualcosa che si può superare). Ma nella vita morale esistono invece anche ostacoli (qualcosa che si può tecnicamente superare) che debbono essere assunti come “limiti”, cioè come confini che non debbono essere superati perché sarebbe male il farlo.2
Accade però purtroppo in vari casi che “il desiderio è trasformato in diritto, il figlio è preteso prima che accolto, la genitorialità vissuta secondo logiche di possesso, non secondo prassi di incondizionata dedizione.”3
Esiste veramente il diritto ad avere un bambino?
Le conseguenze di questa rivendicazione si ripercuotono sulla relazione genitore-figlio e sono senz'altro negative.
Quando si parla di diritto infatti si mette al di sopra di tutto l'adulto e la sua esigenza di soddisfare un bisogno di autorealizzazione individuale, la sua voglia di affermazione individualistica ed egoistica a scapito delle reali esigenze di cui è portatore il bambino, che viene in tal modo strumentalizzato a piacimento dell'adulto.
Focalizzandosi sul bisogno dell'adulto, inevitabilmente le esigenze del bambino passano in secondo piano: il rapporto diventa in tal modo del tutto sbilanciato.4
Non esiste più il diritto del bambino ad avere una famiglia, a sviluppare la sua vita nelle condizioni migliori: emerge solo il diritto dell'adulto a “possedere” il figlio.
Tale atteggiamento è stato definito da Giovanni Paolo II “utilitaristico”, poiché frutto della “civiltà del prodotto e del godimento, una civiltà delle 'cose' e non delle 'persone', una civiltà in cui le persone si usano come si usano le cose.”5
Il figlio è invece innanzitutto “ un 'io' che emerge dentro una relazione d'amore che sa farsi costitutivamente luogo di accoglienza e di custodia. Maternità e paternità responsabile sono termini che indicano innanzitutto la maturità morale di un atteggiamento capace di farsi carico di un'altra esistenza e non semplicemente la tecnica programmatrice di chi produce secondo i propri tempi ed i propri progetti l'esistenza altrui”.6
La genitorialità viene ad essere esclusa nel caso in cui l'adulto, il più “forte” del rapporto, decida in modo unilaterale.
Quando si pensa e si vuole il figlio come affermazione delle proprie facoltà o come prova della propria riuscita nella vita o nella relazione di coppia, molto stesso si mietono delle delusioni: il bambino non riuscirà certamente a colmare le 'lacune' dei genitori.
Egli non può costituire il loro “completamento”. Non possono gravare ipoteche o 'aspettative' sul suo arrivo in famiglia, come ad esempio la futura restituzione di affetto o la risoluzione di un matrimonio in crisi.
Il figlio, invece, secondo il pedagogista Ferdinando Montuschi, è la solidificazione, l'intensificazione di una relazione di coppia, che arriva a trasformarsi in dono:
La vita di coppia può essere considerata la scuola attraverso la quale due esseri umani, legati da una relazione totalizzante, impegnativa e coinvolgente su tutti i piani del rapporto, impara a diventare accogliente verso un terzo. (…) L'accoglienza reciproca di due adulti innamorati è impegnativa ma sempre meno rischiosa rispetto all'accoglienza di un bambino: almeno nelle situazioni 'normali' l'adulto si può difendere, può verbalizzare il proprio disagio, può organizzarsi per sottrarsi a relazioni troppo irrispettose: il bambino no, la sua vita e il suo benessere, il suo sviluppo e il suo futuro dipendono totalmente dalla coppia.”7
Il figlio deve essere accolto come un dono, abbracciato nella sua unicità ed originalità, amato per ciò che è, anzi, perché è.
Solo così sentirà veramente di appartenere ad una famiglia, di trovarsi in un luogo sicuro, protetto.
Solamente in tal modo svilupperà la sua fiducia nei confronti della vita e riconoscerà il padre e la madre come genitori autentici, pieni di significato, sentendosi accettato e valorizzato come membro attivo della famiglia.


1G. FOGLIAZZA, Il figlio preteso, in “Il Foglio” – AIBI n. 58/59 (2000), pp. 6-7
2A. PESSINA, Procreare in famiglia nel contesto della cultura tecnologica: desideri e valori morali, in “La Famiglia” n. 211 (2002) p. 25
3G. FOGLIAZZA, cit., p. 7
4S. BONINO, Un figlio per forza in “Psicologia contemporanea” n. 254 (1999) p. 12
5GIOVANNI PAOLO II, Gratissimam Sane - Lettera alle famiglie (2/2/1994) in “Enchiridion della famiglia”, (cur. Pontificio Consiglio per la famiglia, EDB, Bologna 2000, pp. 313-314
6A. PESSINA, cit., p. 24
7M.T. PEDROCCO BIANCARDI, Il figlio desiderato, il figlio rifiutato in “La Famiglia” n. 180 (1996), p. 29

martedì 17 giugno 2014

Inchiesta governativa nel Regno Unito: la metà dei feti con trisomia 21 abortiti non figurano nei registri


 



(traduzione a cura di Anna Fusina)


Un'inchiesta governativa condotta nel Regno Unito, risalente al maggio 2014, rivela che i medici hanno infranto la legge non dichiarando o falsificando la motivazione degli aborti di feti con trisomia 21. Metà dei feti abortiti portatori di trisomia 21 sono così assenti dai registri.

Il Dipartimento della Salute ha pubblicato sul suo sito internet i risultati della sua indagine. I fatti hanno potuto essere riscontrati confrontando la banca dati del Dipartimento della Salute con quelli del National Down’s Syndrome Cytogenic Register (NDSCR).

Molte IVG (interruzioni volontarie di gravidanza) sono elencate in modo non corretto come IVG "sociali", le quali rappresentano la più importante categoria. Altre non sono dichiarate. Ma secondo l'Abortion Act, il medico che esegue un'IVG deve compilare un formulario ed inviarlo alla Direzione medica entro 14 giorni. Secondo un portavoce del Dipartimento della Salute "i
medici hanno il dovere legale di segnalare tutti gli aborti al Direttore Medico, compresi quelli motivati da un'anomalia del feto."

Apprendiamo da questo documento pubblico che nel 2011, mentre 410 aborti sono stati registrati per ragioni di trisomia 21 del feto - diventando così delle interruzioni mediche di gravidanza -, ne hanno invece avuto luogo effettivamente 937. Nel 2012 ne sono stati registrati 496 contro effettivi 994.

L'Abortion Act autorizza l'aborto fino al termine della gravidanza per i feti che presentano anomalie. Le interruzioni mediche di gravidanza sono molto controverse, in particolare nel contesto della trisomia 21, "tenuto conto che i progressi della medicina consentono ad una persona con trisomia 21 di avere un'aspettativa di vita di 50-60 anni."

Il Dipartimento della Salute ha annunciato che lavorerà con il Royal College degli Ostetrici e Ginecologi per consolidare l'attuale sistema.

(articolo originale in www.genethique.org tradotto da Anna Fusina per gentile concessione di genethique.org)




Sai come sei nato?


Sviluppo fetale - animazione


domenica 15 giugno 2014

Mio papà




Bonne fête des Pères ! L'Amour ne compte pas les chromosomes 

Buona Festa dei Papà!
L'Amore non conta i cromosomi

 

sabato 14 giugno 2014

COMUNICATO AMCI

A S S O C I A Z I O N E                                          
M E D I C I  C A T T O L I C I                 
I T A L I A N I

I l  P r e s i d e n t e  N a z i o n a l e  A M C I

Medici Cattolici: con l’eterologa ampia ferita all’embrione e alla sua
intangibilità


Apprese le motivazioni della sentenza sull’utilizzo di gameti eterologhi nelle tecniche di fecondazione umana, i medici cattolici esprimono grande preoccupazione per la vita personale degli embrioni affidati alla discrezionalità ideologica dei giudici.
Ancora una volta la vita umana dell’embrione viene ferita nella sua intangibilità.
Ogni legittimazione dell’utilizzo eterologo dei gameti si traduce in un’azione violenta sulla vita stessa dell’embrione, soggiogato e condizionato dall’altrui volontà.
Questa sentenza lede il diritto dell’embrione alla piena riconoscibilità della personale identità genitoriale: l’utilizzo eterologo dei gameti introduce un criterio di precarietà esistenziale ed esclude l’importante legittimazione genetica della paternità/maternità.
L’applicazione di tecniche eterologhe in medicina della riproduzione, secondo i
medici cattolici, rappresenta un disvalore che fa prevedere in prospettiva un effettivo danno alla persona del figlio concepito e ripercussioni sul suo registro
neurosensoriale e sulla sua psiche definitivamente e indubbiamente segnata da tale scelta.
La lotteria ricombinante della vita personale degli embrioni crea e sostiene un nuovo genoma e determina una identità biologica specifica individuale del nuovo
organismo.
In forza dell’unità sostanziale del corpo con lo spirito il genoma umano non ha
soltanto un significato biologico ma è portatore di una dignità antropologica che
pervade e vivifica l’embrione.
Il genoma umano alla nascita pone anche altri delicati problemi e tra questi quelli del rispetto degli elementi costituenti che dovrebbero essere conosciuti, sempre e comunque, perché riguardanti la persona, le sue origini e la sua discendenza.
I medici cattolici ribadiscono che la vita di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale, è un bene intangibile di cui nessuno può disporre.

Roma 11 giugno 2014

Prof. Filippo M. Boscia

Presidente Nazionale AMCI
e Direttivo Nazionale

Intervista al Dott. Renzo Puccetti sulla bioetica


mercoledì 11 giugno 2014

SCIENZA & VITA: CON L’ETEROLOGA LIBERA SI APRONO SCENARI INQUIETANTI. BAMBINI A TUTTI I COSTI? MA NESSUNO PENSA AI FIGLI

“Le motivazioni della sentenza sulla fecondazione eterologa aprono più dubbi che certezze lasciando irrisolti nodi antropologici e sociali di enorme impatto”, commentano Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, presidente e copresidente nazionali dell’Associazione Scienza & Vita.

“L’ulteriore abbattimento per via giudiziaria della legge 40, scritta dal Parlamento e sancita dalla volontà popolare, apre un grave vulnus alle pratiche democratiche, ormai affidate al responso ideologico dei giudici. Dire che la fecondazione eterologa è ‘espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi’ sta a significare che la cultura dominante nel nostro Paese è drammaticamente propensa a scindere l’autonomia della persona dalla sua responsabilità umana e sociale. L’autodeterminazione infatti si concretizza nel diritto del più forte a scapito del più debole individuando un diritto ‘affievolito’ del nascituro. La mancata genitorialità è un dramma personale e sociale la cui soluzione ha a che fare con politiche di prevenzione e di sostegno, che non si risolvono immaginando un ‘diritto al figlio’. Un conto è generare bambini, un altro è avere un figlio”.

“Non ci sono solo considerazioni etiche. Dalla identificazione dei donatori sino alla fumosa espressione ‘limite ragionevolmente ridotto di largizioni di seme o di ovuli’questa sentenza apre un vuoto normativo e sociale importante. Il limite ‘ridotto’, a quante ‘donazioni’ è estensibile? Quanti figli possono essere generati da un unico datore di gameti e quali saranno le procedure da mettere in atto affinché non vi sia la concreta possibilità dell’unione di due inconsapevoli fratellastri? Fare riferimento a quanto avviene negli altri Paesi, attribuisce in realtà un enorme onere a chi deve intervenire per via legislativa ed effettuare scelte che incidono profondamente sul nostro tessuto sociale e le cui conseguenze saranno tanto più evidenti quando si paleseranno intrecci familiari e giuridici facilmente prevedibili, proprio perché già visti all’estero”.
Fonte: scienzaevita.org