di Anna
Fusina
I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perchè la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suoi vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo. (K. Gibran)
Françoise
Dolto, nota psicanalista francese, sosteneva che i figli non ci
appartengono. Diceva che i genitori dovrebbero 'adottare'
i propri figli, ma purtroppo spesso non lo fanno: “non
si ha mai un figlio come lo si è sognato, si ha un certo tipo di
bambino e bisogna lasciare che cresca secondo la sua verità: spesso,
invece, facciamo il contrario.”1
Secondo
Andrea Canevaro, professore di Pedagogia all'Università di Bologna
“un bambino deve essere accettato per quello che
è, e nello stesso tempo deve essere desiderato per quello che lui
sarà, al di là di quello che noi vorremmo che lui diventi.”2
Il
bambino è una persona 'originale',
cioè una persona che potrà acquisire uno sviluppo pieno
esclusivamente se gli sarà consentita l'acquisizione di un'identità
propria, che lo porterà a diventare qualcuno “mai
esistito prima (nemmeno nell'immaginazione di chi lo ama o lo ha
messo al mondo o lo sogna conforme a modelli ideali percepiti come
assoluti). Un buon genitore rispetta il 'progetto' misterioso
nascosto nel seme originario di ogni figlio, non lo considera figlio
di sua proprietà, ma 'figlio della vita' stessa, di quella vita in
cui dovrà, un giorno, inserirsi autonomamente e da protagonista,
abbandonando la matrice psicologica genitoriale in cui è
cresciuto.”3
“La
genitorialità –
afferma la Prof. Vanna Jori, docente di Pedagogia alla Cattolica di
Milano – è il primo progetto pedagogico: progetto per sé dei
singoli attraverso le relazioni familiari; progetto
di coppia nella
relazione col partner per compiere un percorso comune; progetto per
il figlio, che poi
diviene progetto con il figlio
attraverso una perenne mediazione tra le aspettative nei suoi
confronti e ciò che il figlio quotidianamente, con margini sempre
crescenti di autonomia, sceglie per sé.”4
Un
proverbio del Québec (Canada) recita che “i
genitori possono regalare ai figli solo due cose: le radici e le
ali.”5
Essere
padre e madre è 'stare accanto'
al figlio in tutte le fasi del suo sviluppo: nella primissima età
essendo di protezione, guida e stimolo al bambino per la conoscenza
di se stesso e del mondo in cui si trova a vivere, utilizzando le
superiori capacità fisiche e psichiche di cui si è dotati in quanto
adulti; successivamente, fungendo da supporto per il distacco
psicologico dalla famiglia e per le esperienze di graduale
inserimento nell'ambiente extrafamiliare e l'acquisizione
dell'autonomia personale.
Secondo
Gloria Soavi, psicologa e psicoterapeuta, “il
bambino ha un bisogno fondamentale per poter crescere in maniera
armonica e sviluppare le sue potenzialità, e al di là di ogni
categoria sociale, psicologica e pedagogica, si può sintetizzare in
un unico bisogno primario (…): quello di essere amato. Questo
bisogno di amore si articola in diverse azioni; l'essere accettato,
accolto, accudito, seguito, riconosciuto nei suoi bisogni e nelle sue
necessità, rinforzato nelle sue aspettative e capacità, tutto
quello che gli dà la possibilità di creare un legame, che sarà il
legame primario su cui poi costruirà tutti i legami successivi e
con cui si confronterà emotivamente per tutta la vita.
Chi
è genitore sa di quante attenzioni costanti e coerenti nel tempo
hanno bisogno i piccoli per crescere e per diventare degli adulti
equilibrati e sufficientemente felici. L'essere figlio si sostanzia
quindi fondamentalmente nella relazione con i genitori attraverso la
costruzione di questo legame così unico e complesso che si sviluppa
nell'arco della vita e che muta continuamente, ma rimane come
essenza, come radice e se è positivo come risorsa”.6
E'
assolutamente necessario dunque che la relazione genitori-figlio si
basi sull'amore incondizionato per il bambino.
L'amore
è però un sentimento soggetto ad alcuni rischi: può diventare
possesso, egoismo, ricatto, proiezione di se stessi sull'altro. Anche
l'amore generoso, infinito, disinteressato di un padre e di una
madre verso il figlio, può, in alcuni casi, trasformarsi in
possesso egoistico del bambino, può sfociare in atteggiamenti
autoritari, in controlli ossessivi nei suoi confronti.
Il
Cardinale Angelo Scola rileva come “la
tentazione del possesso, quella di non permettere al figlio di essere
fino in fondo 'altro', cioè veramente libero, minaccia continuamente
l'amore paterno e
materno. Accettare il rischio della libertà dei
figli, in effetti, costituisce la prova più radicale nella vita dei
genitori: al figlio si vorrebbe risparmiare qualunque dolore,
qualunque male. Questa drammaticità, presente in ogni rapporto
umano, si fa particolarmente acuta nel rapporto padre/madre-figlio.
Il legame è, qui, a tal punto potente da dare la
percezione che, se l'altro – il figlio – si perde, mi perdo
anch'io – madre o padre -. Allora diventa forte la tentazione di
ridurre il figlio a sé, facendone una sorta di prolungamento della
propria persona.”7
Come
osserva Guido Cattabeni, medico specialista in psicologia clinica,
“per progredire nelle sue relazioni interpersonali, al bambino
necessita l'esperienza, iniziale e successivamente confermata, di
essere amato per se stesso, sempre, qualsiasi cosa gli succeda o
comunque si comporti. Solo da questa esperienza fortemente
valorizzante può nascere nel bambino la fiducia in se stesso e negli
altri, il desiderio e la capacità di amare l'altro come 'se stesso',
la disponibilità a far proprie le regole della convivenza sociale e
a contribuire a migliorarle (acquisizione di un ruolo sociale
creativo).”8
Il figlio
dunque deve essere accolto ed amato per se stesso e non per le sue
qualità, dal momento in cui vi è la sua presenza in famiglia.
I
genitori, nel donarsi al figlio, devono a volte saper 'rinunciare
a se stessi'.
La
fecondità è un'esperienza di dono e di distacco da sé.”Essa
insegna che perdere per ritrovare (Mc
8,35) è il segreto della vita, senza la quale essa perde di senso.
(…) Il segreto della vita non risiede della vita stessa, da
trattenere gelosamente: occorre rinunciare a sé per dedicarsi a
qualcuno. Se la vita vuole essere ritrovata deve essere
perduta nell'atto della libertà che acconsente ad essa come ad una
grazia e a una promessa”.9
Fonte:
vitanascente.blogspot.it
1L.
ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, Siamo tutti figli adottivi. Otto
unità didattiche per parlarne a scuola, Rosenberg &
Sellier, Torino 1991, p. 128
2A.
CANEVARO, prefazione all'edizione italiana di J. Cartry, “Genitori
simbolici”, Edizioni Dehoniane, Bologna 1989
3L.
ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, cit., p. 174
4http:
// iis.comune.re.it/osservatorio-famiglie/strumenti/strumenti
3/012_9.htm
5L.
ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, cit., p. 123
6G.
SOAVI, Quando il bambino impara ad essere figlio in “La
famiglia per il bambino” (a cura di Associazione F.I.A.B.A. di
Vicenza e A.N.F.A.A. di Torino), Atti del Convegno, Vicenza
8/11/2003, p. 1
7A.
SCOLA, Genealogia della persona del figlio in “I figli:
famiglia e società nel nuovo millennio”, Congresso
Internazionale Teologico-Pastorale – Atti (11-13/10/2000).
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001, p. 103
8L.
ALLOERO, M. PAVONE, A. ROSATI, cit., p. 174
9W.
NANNI (a cura di), Adozione, adozione internazionale,
affidamento, Piemme, Casale Monferrato 1997, p. 95
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