Di Enzo Pennetta - 22 giugno 2014
La teoria del “gender” è al centro di un intenso dibattito dalle ricadute molto vaste.
.Ma si tratta di una teoria fondata o è solo un’astratta speculazione?
.Su questo deve avere l’ultima parola la scienza.
.
Teoria del gender:
“Il genere è un prodotto della
cultura umana e il frutto di un persistente rinforzo sociale e culturale
delle identità: viene creato quotidianamente attraverso una serie di
interazioni che tendono a definire le differenze tra uomini e donne. A
livello sociale è necessario testimoniare continuamente la propria
appartenenza di genere attraverso il comportamento, il linguaggio, il
ruolo sociale. Si parla a questo proposito di ruoli di genere.
In sostanza, il genere è un carattere appreso e non innato. Maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa” (Wikipedia).
La teoria del “gender” è
al centro di un ampio fenomeno sociale che sta attraversando l’intero
Occidente, si tratta di una teoria dalla quale deriva tutta una serie di
ricadute anche legislative. Ed è proprio a causa di queste ricadute che
è necessario stabilire la valenza scientifica delle teoria stessa. Nel
cercare di far luce su questo punto sorprende la mancanza di studi
scientifici che mostrino degli elementi di corroborazione all’ipotesi
“gender”, ma proprio in questi ultimi tempi un breve documentario
norvegese ho mostrato in modo sintetico e chiarissimo l’assenza di tali
elementi. Si tratta di un documentario che stranamente è stato
realizzato non da un giornalista scientifico ma da Harald Meldal Eia,
un documentarista e attore norvegese, questo però non deve far pensare
che si tratti di un lavoro non qualificato, la qualità del documentario è
nel livello delle figure professionali intervistate e nei loro studi.
Stiamo parlando de “Il paradosso norvegese”,
titolo che prende spunto dal fatto che nel paese dove maggiore è
l’uguaglianza di trattamento tra i due sessi, maggiore è la differenza
nell’orientamento nel mondo del lavoro. Il video è stato sottotitolato
in italiano ed è disponibile su Youtube:
https://www.youtube.com/watch?v=2qx6geFpCmA
L’autore ha incontrato diversi esponenti
della ricerca in ambito biologico e sociologico che hanno preso
posizione sul gender i quali da posizioni contrapposte hanno esposto le
loro ragioni. Il primo personaggio ad essere incontrato è Camilla Schreiner, dell’università di Oslo che nello studio intitolato “How do students perceive science and technology?”
del 2009, condotto su un campione di circa 50.000 studenti di 40 paesi
ha trovato dei risultati molto interessanti riguardo le scelte e gli
interessi dei due sessi.
Vediamo i grafici che evidenziano i dati raccolti:
Fig.1
Alla domanda “scienza e tecnologia sono importanti per la società” (Fig.1),
come illustrato nel grafico qui sopra, maschi e femmine hanno dato
risposte simili e poco differenziate in base al paese di appartenenza,
fatto che fa pensare che la diversa cultura ed educazione poco abbiano
influito su questo punto.
Alla domanda sullo studio scolastico delle scienze le risposte hanno però iniziato a mostrare interessanti differenziazioni in base ai paesi:
Fig.2
Come è possibile constatare (Fig.2) le risposte mostrano un maggior gradimento
dello studio scolastico delle scienze nei paesi meno industrializzati e
meno orientati ad una politica di uguaglianza tra i sessi. Ma non è
tutto, ancor più sorprendenti sono state le risposte alla domanda “ti piacerebbe diventare uno scienziato?“:
Fig.3
In questo caso (Fig.3) si vede confermata
la prevalenza di risposte positive nei paesi non industrializzati e la
differenziazione tra maschi e femmine indipendentemente dalla cultura in
cui i soggetti si sono formati. Ma davvero notevole è la differenza
tra maschi e femmine quando la domanda diventa sul lavoro che si
desidererebbe svolgere, ed esattamente: “ti piacerebbe lavorare in ambito tecnologico?“. Ecco i risultati:
Fig.4
Quello che nessuno si sarebbe
aspettato (Fig.4) è che nei paesi dove maggiore è stata l’uguaglianza di
educazione impartita a maschi e femmine, maggiore è la differenziazione
nelle scelte tra i due sessi. Questo è il “paradosso norvegese”.
Come si può constatare la Norvegia è risultato il paese dove
maggiormente femmine e maschi hanno espresso una forte differenziazione
nelle preferenze con una conferma dello “stereotipo” che vuole i maschi
più propensi alle attività tecniche rispetto alle femmine. Eppure
secondo le statistiche la Norvegia è ai primissimi posti nell’educazione
rispettosa dell’uguaglianza di genere, come risulta dagli studi al
riguardo:
La conclusione a cui giungono i ricercatori
è che nei paesi in via di sviluppo i lavori in ambito tecnologico
vengono visti come il mezzo migliore di progresso sociale o
semplicemente come opportunità d’impiego, nei paesi più sviluppati
invece la libertà di espressione è maggiore e allora le libere scelte si
possono manifestare meglio mostrando una maggiore preferenza anche per
altri campi lavorativi e soprattutto, per quel che concerne il gender,
le femmine hanno espresso in una percentuale significativamente diversa
il desiderio di svolgere altre attività rispetto a quelle tecniche.
Conclusione: dove esiste la
maggiore libertà educativa e di espressione le femmine e i maschi
esprimono scelte differenti. E questa è una confutazione della teoria
del gender che assume invece una differenza solo somatica tra maschi e
femmine.
L’inchiesta prosegue con un’intervista a Cathrine Egeland, dell’Isituto di ricerca sul lavoro, che ha scritto diversi rapporti sulla scelta dei mestieri da parte dei generi, come “Gender equality and quality of life : a Norwegian perspective“,
nel quale si evince però solo una generale diffusione tra la
popolazione dell’idea che l’uguaglianza di genere sia una cosa positiva e
debba essere conseguita. Una ricerca sulle convinzioni riguardo alla
teoria dell’uguaglianza del gender, non sulle loro preferenze personali,
si tratta cioè di uno studio su quanto l’idea di gender sia diffusa tra la popolazione, non si occupa di dimostrarla o no, e si tratta di una differenza sostanziale.
Sullo stesso versante anche il ricercatore Jørgen Lorentzen del Centro di Ricerca interdisciplinare sul Genere dell’Università di Oslo,
che alla domanda sull’esistenza di differenze reali tra il cervello
maschile e quello femminile risponde che si tratta di “studi superati” e
che a parte i caratteri sessuali primari e secondari, per tutto il
resto non esistono differenze. Per Lorentzen le differenti scelte
evidenziate nella ricerca di Camilla Schreiner sono dovute (nonostante
le diverse culture rappresentate) esclusivamente al condizionamento
educativo.
Per cercare di fare chiarezza su questo punto l’intervistatore si sposta poi negli USA per incontrare il Dr. Richard Lippa, Professore di Psicologia presso la California State University,
il quale ha svolto una ricerca su un campione estremamente grande
costituito da circa 200.000 persone di 53 paesi del mondo, una ricerca
che ha confermato le differenti scelte e preferenze riscontrate nella
ricerca di Camilla Schreiner, con i maschi più orientati verso la
meccanica e le femmine verso i rapporti sociali. Alla domanda se questo
sia conseguenza dell’educazione anche il prof. Lippa risponde che in tal
caso si dovrebbero riscontrare differenze tra i vari paesi e le varie
culture, cose che però non si verifica. Ma lo stesso Lippa afferma che
per avere una risposta significativa nella scienza bisogna cercare altre
conferme, in questo caso bisogna cercare prove di un differente
orientamento del cervello maschile e femminile sin dalla nascita.
Una prima conferma giunge dal prof. Trond Diseth,
dell’Oslo University Hospital, che lavorando con bambini che presentano
deformazioni ai genitali ha elaborato un test per verificare le scelte
riguardo ai giocattoli riscontrando che fin dall’età di nove mesi esse
sono differenziate tra maschi e femmine. Per Diseth i bambini nascono
con delle differenze innate che l’ambiente può successivamente
rafforzare o diluire. Ma gli studi di Diseth non appaiono conclusivi su
questo argomento, e così la domanda viene posta al prof. Simon Baron-Cohen dell’Università di Cambridge e membro del Trinity College.
Gli studi di Cohen su bambini neonati
(quindi con la certezza di non aver ricevuto alcun condizionamento
ambientale di tipo culturale) sono stati pubblicati nel 2000 sulla
rivista peer review Elsevier nell’articolo “Sex differences in human neonatal social perception“,
i risultati non lasciano spazio a dubbi: esistono caratteristiche
innate (con una irriducibile componente biologica) e diversificate nei
cervelli dei bambini maschi e femmine, come dichiarato nell’Abstract:
La ricerca ha dimostrato che le differenze tra i sessi sono “in parte biologiche all’origine”.
Non del tutto biologiche, non si contesta l’influenza dell’ambiente, ma
si accerta una predisposizione biologica, e questo sarà un punto molto
importante per affrontare le questioni educative legate alla teoria del
gender.
Il prof. Cohen ha poi in seguito
sostenuto che non deve essere considerato un atteggiamento “sessista” il
ritenere che la biologia condizioni il comportamento, come avvenuto ad
esempio nel 2010 sulle colonne del Guardian “It’s not sexist to accept that biology affects behaviour“.
Infine è la volta della prof. Anne Campbell dell’Università di Durham
che partendo da un approccio evolutivo giunge alla conclusione che il
cervello maschile e femminile devono essere diversi perché l’evoluzione
darwiniana non può che averli selezionati secondo caratteristiche
differenti, tesi esposta nel libro “A Mind Of Her Own-The evolutionary psychology of women” pubblicato dall’Oxford University Press.
Se è vero che esistono “intersezioni” di interessi tra i sessi, è vero
anche che esistono caratteristiche “tipiche” legate a geni selezionati
dall’evoluzione.
Con l’intervista alla prof. Campbell il
documentario volge al termine, a questo punto restano delle importanti
considerazioni che, in assenza di eventuali smentite, devono guidare un
approccio scientifico alla teoria del gender:
1- La teoria del gender si basa su un’ipotesi fondata solamente su un presupposto “teoretico”.
2- I sostenitori della teoria del gender non la supportano con ricerche scientifiche.
3- Dove le ricerche scientifiche
sono state condotte hanno mostrato una convergenza verso la
dimostrazione di una differenza innata, non solo morfologica ma anche
psicologica, tra maschi e femmine.
4- La cultura può confermare o contrastare questa differenza biologica.
.
Di fronte a questi dati un
atteggiamento scientificamente fondato di educatori, docenti,
divulgatori e politici deve condurre a delle coerenti conseguenze:
a- La componente di differenza innata tra maschi e femmine va insegnata nei corsi di biologia a tutti i livelli di istruzione.
b- Fornire indicazioni o
materiale didattico che vada nel senso di una negazione di tale
componente di differenza innata non è scientificamente corretto.
c- Orientare psicologicamente un
bambino in senso opposto a quello della sua componente innata deve
essere considerata una forzatura arbitraria lesiva dei diritti della
persona.
.
Quella del gender è, in
conclusione, da considerarsi una teoria confutata. Proporre tale teoria
come base per le scelte sociali, culturali, educative e legislative è da
considerarsi un atto ingiustificato.
In nome della scienza.
Fonte: http://www.enzopennetta.it
Fonte: http://www.enzopennetta.it
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