di Anna Fusina
Intervista alla Dott.ssa Benedetta Foà, psicologa clinica, counselour
specializzata in post-aborto, psicoterapeuta in formazione presso la
S.I.S.P.I., autrice di vari articoli sulla sindrome post-abortiva e
sull’elaborazione del lutto nel post-aborto, coautrice del libro “Maternità Interrotte - Le conseguenze
psichiche dell’IVG” (a cura di Cantelmi, Cacace, Pittino, ed. San Paolo)
- Dottoressa Foà, che differenza c'è tra sterilità ed infertilità?
Dott.ssa Foà: Sono due concetti differenti. La sterilità è l’incapacità di concepire e l’infertilità l’impossibilità di portare a termine la gravidanza.
Questa differenza non è solo concettuale perchè gli studi effettuati per
conoscere cause e trattamenti risolutori
sono differenti. Non è lo stessa cosa parlare di una coppia con impossibilità a
concepire o di una coppia che concepisce senza difficoltà ma non riesce a
portare a termine una gravidanza.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), relativamente ai concetti di sterilità ed infertilità, ha stabilito una terminologia che si rifà a
riferimenti temporali precisi:
- sterilità primaria: mancato concepimento per un periodo di due anni nonostante la regolarità dei rapporti sessuali;
- sterilità secondaria: impossibilità di concepire un altro figlio dopo una precedente gravidanza, nonostante la regolarità dei rapporti sessuali per due anni;
- infertilità: situazione di una donna che arriva ad avere una gravidanza ma non riesce a portarla a termine.
L’infertilità, è dunque l’incapacità di portare a termine
una gravidanza in una donna in grado di concepire, per cui la donna può rimanere
gravida anche più volte ma non riesce a portare a termine la gravidanza. Le cause
possono essere sia di tipo organico che psicologico.
L’infertilità è
considerata dall’OMS una patologia e
in quanto tale ha delle possibilità di cura.
- Cosa può significare per una donna il fatto di non avere figli?
Dott.ssa Foà: La problematica della sterilità/infertilità e quindi della
mancata capacità di riprodursi è sempre esistita ed è stata da sempre vissuta dalla
donna con vergogna, come un castigo. Ne troviamo accenni nei miti e anche nella
Bibbia, dove la sterilità è considerata una punizione divina. Nell’Antico
Testamento sono citate molte donne che,
non potendo avere un figlio, lo “strappano” al cielo facendo preghiere, suppliche
e/o pellegrinaggi. Nel Nuovo Testamento è riportato il caso di Elisabetta, cugina
di Maria Santissima, la quale rimane gravida in età avanzata. Essa era da tutti
considerata sterile e per questo si sentiva disonorata. Elisabetta si nasconde
per portare avanti la gravidanza perchè si vergogna di essere diventata madre in tarda età (Lc 1, 24-25).
Oggi il desiderio
di un figlio, per quanto sia un evento naturale, è sottoposto a grandi
pressioni sociali e culturali, riempiendosi di significati, valori e simbologie
che di naturale hanno sempre meno e che
sempre più rispecchiano l’evoluzione
della società. E’ anche per questo che, generalmente, è proprio il sesso
femminile quello che soffre maggiormente nel non riuscire a procreare, da una
parte per i retaggi storici, dall’altra perché è la donna che vive appieno la
maternità in tutti i suoi aspetti fisici e psicologici. Il desiderio di
procreare in una coppia desiderosa di
figli appartiene ad entrambi i sessi, ma la donna appare quella che patisce
di più nella situazione di infecondità.
Il desiderio di avere
un bambino, come tutti i desideri, viene da lontano: è legato ai nostri vissuti
dell’infanzia ed è stato preparato da bisogni e fantasie precoci ed inconsci. La
non realizzazione di questo sogno può
essere fonte di frustrazione, stress e malessere. Questo in parte spiega
l’attuale boom delle fecondazioni in vitro.
- Quali conseguenze vi possono
essere a livello psicologico, relazionale e sociale in una coppia che vive la
condizione di infertilità?
Dott.ssa Foà: Il
fenomeno dell’infertilità, secondo le diverse stime
disponibili riguarda circa il 15-20% delle coppie. Le cause
dell’infertilità, sia femminile che maschile, sono numerose e di
diversa natura. Il numero di donne che
non riesce a concepire e/o a portare a termine una gravidanza è sempre
maggiore. Per quanto ci possano essere tante ragioni di natura biologica (stile di
vita, ricerca del primo figlio in età
tardiva, aborti precedenti, uso di droghe, abuso di alcool,
fumo, condizioni
lavorative, inquinamento), altrettante
sono quelle di natura psicologica. La condizione di infertilità della coppia
porta a vivere esperienze psicologiche, relazionali e sociali molto complesse e
spesso legate ad un vissuto di disagio emotivo. Questo disagio è esperito in
modo diverso a seconda della personalità della coppia: quando la maternità riveste
un ruolo non solo di completezza personale ma anche un ruolo sociale, esso può
essere molto forte. Per molte donne non avere figli può avere un significato di
fallimento, di svilimento fino all’abbassamento dell’autostima. Se la donna trova
la sua identità solo come madre, e non riesce a vedere in sè
valore altro, allora la situazione
psicologica può prendere percorsi tortuosi e dolorosi.
Anche l’uomo soffre per la mancata paternità, seppure
in modo diverso. Oggi l’uomo è sempre più consapevole del suo ruolo e
dell’importanza della sua presenza per i figli, anche se è vero che egli
comprende appieno il suo ruolo alla nascita del figlio. Questo passaggio per la
madre solitamente inizia prima. La mancanza del figlio atteso non esclude l’uomo dallo stesso dolore che vive
la donna; il modo di reagire alla perdita può essere vissuto però diversamente,
per esempio nella tendenza a lavorare di più e a parlare meno con la partner.
L’infertilità è un aspetto della vita che non
è controllabile; alla sua scoperta si possono verificare tutta una serie di
emozioni: sorpresa, negazione, rabbia, isolamento, vergogna, senso di colpa
fino alla rassegnazione. La mancata capacità di elaborare il lutto, in questo
caso del non essere fertili, può portare alla depressione e in alcuni casi limite
anche allo scioglimento della coppia. A questo proposito il sociologo Alberoni
afferma che a volte figlio viene vissuto inconsapevolmente come un prodotto di
pregio, un lusso, un investimento affettivo ed emotivo che deve colmare un
vuoto e spiega che quel vuoto, troppo
spesso, è in realtà un vuoto di coppia: si vuole un figlio e si fa un figlio per tenere in vita un rapporto che
altrimenti si esaurirebbe.
- Alcuni studi inglesi ed americani affermano che dopo un aborto volontario è più difficile portare a termine le successive gravidanze per il verificarsi di aborti spontanei ma anche a causa di infertilità. Quali ne sono le ragioni?
- Alcuni studi inglesi ed americani affermano che dopo un aborto volontario è più difficile portare a termine le successive gravidanze per il verificarsi di aborti spontanei ma anche a causa di infertilità. Quali ne sono le ragioni?
Dott.ssa Foà: Si,
questi studi inglesi e americani (cfr.: www.unchioce.info/resources.htm) affermano
che dopo un aborto volontario è più facile che la donna non riesca a portare a
termine le successive gravidanze. Ne risultano aborti spontanei o infecondità. Uno studio
pubblicato sul British Journal of
Obstetric and Gynecology (2006) afferma che nelle donne che hanno abortito
volontariamente si registra il 60% in più di possibilità di un aborto
spontaneo.
L’infertilità
dopo un aborto procurato è dovuta a ragioni diverse: organiche o psicologiche. L’utero
può essere stato danneggiato durante l’intervento abortivo e in conseguenza a
ciò la donna non riesce a portare a termine successive gravidanze desiderate. Ma l’infertilità può essere secondaria, cioè ci
possono essere disagi di ordine psicologico per cui la donna non resta gravida o non riesce a portare avanti
la gravidanza anche se a livello organico non ci sono problemi. Succede cioè
che donne e uomini riproduttivamente sani non riescano a generare.
- Cosa si può fare nei casi di infertilità
secondaria?
Dott.ssa
Foà: Il
lavoro dello psicologo in questi casi può essere fondamentale. Elaborare il
lutto di un figlio perso in precedenza può essere la condizione necessaria per
poter poi affrontare al meglio un’altra gravidanza. Elaborare i vari traumi di
vita legati, anche inconsciamente, alla figura materna diventa in questi casi un passo necessario
per diventare madri. Legami patologici tra madri e figlie sono spesso alla base
di situazioni invischiate che portano alla non accettazione della propria vita
e di conseguenza di quella degli altri. Ho notato che madri incapaci di dare un
sostegno affettivo sufficientemente buono,
“alla Winnicott”, sono generatrici di figlie psicologicamente fragili che a
loro volta faticano a dare la vita. Un lavoro di counseling con l’utilizzo
dell’immaginario può portare in breve tempo allo sblocco di problemi profondi
quanto inconsci. Le Esperienze
Immaginative (Passerini) mirate
possono portare la donna, ma anche l’uomo al superamento di blocchi e/o traumi
psichici legati alla maternità/paternità in modo da poterli affrontare con successo. Il poter dare un
nome al dolore e verbalizzare vissuti spesso mai detti può far migliorare lo
stato di salute in generale e quindi aumentare la stima di sè, così da
ritornare a vivere meglio, se non addirittura, come avviene spesso, ad eliminare
il problema infertilità.
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