Il parere tecnico con il quale il Consiglio Sanitario della
regione Toscana apre alla possibilità di prescrivere e somministrare la
pillola RU486 nei consultori-poliambulatori è atto arbitrario, poco
convenzionale ma anche violento perché manifesta l’intento
utilitaristico di voler gestire la vita umana e particolari momenti di
fragilità della donna in modo poco responsabile ed esponendola a dei
rischi non indifferenti.
L’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani) richiede una seria
riflessione in relazione alla prevenzione dell’aborto e al sostegno
delle gravidanze inattese, con particolare riguardo alle funzioni
attribuite dalla legge ai consultori.
Sono molte le perplessità che solleva la dichiarazione
freddamente burocratica, diramata dal Consiglio Sanitario della Toscana,
che promuove l’effettuazione dell’aborto medico in consultorio, senza la indispensabile continuativa assistenza medica e senza alcuna norma regolatoria di prudenza.
Il documento della Regione Toscana nella sua rozza intrusione non tiene
spregiudicatamente per nulla conto dell’obiezione di coscienza sia dei
prescrittori sia dei farmacisti erogatori della RU486.
L’aborto determinato dalla RU486 non può avere radice in un Consultorio,
notoriamente istituito per legge al fine di promuovere una nuova vita,
offrendo accorta informazione sui metodi utilizzabili ove non più
accettata.
In considerazione di questa banalizzazione della procreazione umana e della problematica dell’aborto si
evince una totale mancanza di consapevolezza circa la gravità delle
molteplici situazioni di rischio che potrebbero venire a crearsi.
Il rischio che la donna non più assistita incontra dopo la
somministrazione del farmaco la pone in uno status di imprudente
solitudine non potendo disporre di un sicuro e pronto aiuto medico al
bisogno.
Lasciar sola una donna per garantirle libertà e autonomia e farle
realizzare un aborto in totale solitudine e senza alcun sostegno
psicologico, oltre che sanitario, in situazioni di emergenza è un vero e
proprio atto di violenza.
In concreto si potrebbero perdere due vite: quella dell’embrione e persino quella della gestante.
La decisione del Consiglio Sanitario della Toscana non è presa nel
rigoroso rispetto della legge 194, anzi ne risulta in aperto contrasto.
L’articolo 8 della legge 194/78 cita testualmente:
“Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della
gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la
costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori
pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli
ospedali ed autorizzati dalla regione”.
Ci si chiede: dove e in quale realtà territoriale esistono
poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati e funzionalmente
collegati agli ospedali con requisiti di un servizio
ostetrico-ginecologico di un ospedale generale?
I consultori e i poliambulatori italiani non hanno per nulla queste caratteristiche.
Certamente vengono disattesi i tre pareri del Consiglio Superiore di Sanità del 2004, del 2005 e del 2010.
Il CSS ha ritenuto necessario il regime di ricovero ordinario per
l’intera procedura abortiva, nelle sue diverse fasi; vengono anche
disattese le raccomandazioni dell’AIFA ed eluse le linee guida del
Ministero della Salute elaborate nel giugno 2010.
E’ auspicabile che ci sia in ogni caso – a tutela della donna – il massimo delle provvidenze cautelative.
In eventi siffatti occorre abbattere pregiudizi ideologici, occorre
spezzare le catene del silenzio, della solitudine e del disagio.
Occorre sì valorizzare lo specifico territoriale dei consultori,
ma anche riaffermare la loro centralità come luoghi di counseling e non
come strutture medicalizzate, che viceversa non rispettano la
precipua vocazione di essere opportune realtà sociali di base, capaci di
creare idonee integrazioni a più livelli anche con i servizi del
volontariato sociale.
Piuttosto che creare strutture favorenti gli aborti occorre che,
attraverso operatività concrete, si realizzino obiettivi di prevenzione
di gravidanze indesiderate, di sconfitta dell’aborto facile e
soprattutto di quello clandestino.
L’aborto a domicilio fa saltare le norme della legge 194 del 1978, lede
la dignità delle donne e le espone a notevoli rischi di complicanze,
anche gravi.
Ne segue la grave irresponsabilità del disposto – su cui si potrà
sussumere presso le Corti di pertinenza – nel favorire l’aborto
farmacologico senza peraltro accompagnarlo con modi tecnici di prudenza e
di assistenza
I consultori non siano solo dispensatori di aborto!
IL COMUNICATO E’ ESPRESSIONE UNANIME DEL CONSIGLIO DI PRESIDENZA AMCI
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Prof. Filippo M. Boscia
Presidente Nazionale
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