di Anna Fusina
"Oltre
la cura... oltre le mura": è il titolo di un libro che racconta l'omonimo progetto: lo
straordinario incontro tra due realtà molto diverse: i bambini di un reparto di
chirurgia e i detenuti di un carcere.
Il libro, edito da Cantagalli di Siena, è
firmato da due autrici, la Dott.ssa Gloria Pelizzo, chirurgo
pediatra, Direttore di Chirurgia Pediatrica presso la Fondazione IRCCS
Policlinico S. Matteo di Pavia e la Dott.ssa Valeria Calcaterra, ricercatore
universitario presso l'Università di Pavia e dirigente medico presso la
Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo di Pavia ed ospita i contributi speciali
di: Aldo, Giovanni e Giacomo, Pupi Avati, Rita Borsellino, Francesco Agnoli,
Mario Melazzini, Carlo Rossella, Pierre Martens, don Giovanni d'Ercole.
Ne parliamo con una delle due autrici: la Dott.ssa Gloria Pelizzo, uno dei pochissimi chirurghi ad operare i bimbi all'interno del grembo materno per curarli dalla spina bifida e ad effettuare interventi di chirurgia robotica sui lattanti e sui bambini di basso peso.
Ne parliamo con una delle due autrici: la Dott.ssa Gloria Pelizzo, uno dei pochissimi chirurghi ad operare i bimbi all'interno del grembo materno per curarli dalla spina bifida e ad effettuare interventi di chirurgia robotica sui lattanti e sui bambini di basso peso.
- Dott.ssa
Pelizzo, cosa significa per lei "prendersi cura" dei bimbi malati?
Dott.ssa Pelizzo:
Prendersi cura dei bambini malati per me significa abbracciare l’innocente per
dare senso e rispetto al suo dolore.
Prendersi
cura del bambino significa curare, guarire (quando possibile), sostenere ed
alleviare il paziente durante il percorso terapeutico e soprattutto quando la
guarigione non è possibile!
Chi si occupa dei bambini non può non avere un
progetto di cura “prospettico” che guarda,
cioè, al futuro del bambino nel
rispetto del suo divenire.
Per
questo la terapia è da un lato mirata ad essere rispettosa, e per questo in
pediatrica parliamo di una chirurgia, “ricostruttiva” e non demolitiva;
dall’altro lato la terapia chirurgica va oltre il gesto terapeutico e mira a
salvaguardare il bambino nel contesto in cui vive.
Per questo prendersi cura significa andare oltre le mura dell’ospedale
a coinvolgere i contesti scolastici, sociali, pedagogici, di riabilitazione,
lavorativi per la salvaguardia e la
tutela della dignità del bambino malato.
Il
primo obiettivo è far conoscere la realtà del bambino malato. Questo significa
sensibilizzare l’opinione pubblica sul dolore del bambino: creare cioé cultura. Questo significa andare contro la
logica dello “scarto” di cui parla Papa
Francesco.
I
bambini di cui ci occupiamo sono portatori di malformazioni congenite, malattie
croniche, tumori, disabilità. La sofferenza dell’innocente e la fatica dell’accettazione
della malattia portano spesso ad una condizione di emarginazione sociale della
famiglia. In questo i genitori vanno sostenuti! Soprattutto vanno sostenuti
quando questi hanno il coraggio di accettare il bambino “non perfetto” andando
contro tutte le logiche comuni di benessere, qualità di vita...
- - Oltre la cura... Oltre le mura" ; come è nata
l'idea di questo progetto?
Dott.ssa Pelizzo: “Oltre
la cura, oltre le mura” è il titolo del libro che racconta un progetto di
incontro tra due realtà agli estremi della società, isolate, rispettivamente i
bambini malati ed i detenuti; l’incontro
tra “gli scarti” della società: coloro
che non producono reddito, per i quali pochi sono i progetti di investimenti
di interesse sociale.
L’idea
nasce da alcuni bisogni:
- -
il bisogno per noi
medici di sensibilizzare la società alla condizione del bambino malato, al
rispetto della vita nascente anche quando questa presenta sin dalla nascita le
caratteristiche di fragilità estrema;
- -
dall’altro lato un
bisogno concreto di andare ”oltre la cura” , oltre il gesto chirurgico che
rappresenta la terapia per quel paziente; il bisogno per noi medici di
abbracciare la realtà, il contesto del bambino malato a 360° con uno sguardo
totale al suo contesto, al rispetto ed alla
tutela della sua fragilità nell’ambito
scolastico, familiare e sociale;
- -
non ultimo un
bisogno concreto: ristrutturare un reparto in un momento di crisi economica, di
assenza di vedute prospettiche per il futuro dell’infanzia e dei giovani, in
particolare di quanti affetti da malattie croniche, nell’ambito della nostra
società.
In
maniera straordinaria ed inaspettata all’appello di aiuto hanno risposto i detenuti, coloro che non posseggono
nulla. De Andrè diceva “ dai diamanti
non nasce nulla, dal … dal letame invece i fiori….”, noi ora possiamo
aggiungere che “gli scarti” possono essere travolgente forza di rinascita del
bene comune e motivo di speranza per una rinascita, di bellezza. Allora lo
scarto è per me: “bellezza inaspettata”.
- -
In che cosa consiste esattamente il progetto, raccontato nel libro
omonimo?
Dott.ssa Pelizzo: Il
progetto di collaborazione tra la Casa Circondariale di Pavia ed il Policlinico
S Matteo di Pavia ha in sé alcuni percorsi
che mirano da un lato a far conoscere la condizione del bambino malato e
consentono allo stesso tempo ai detenuti di riscattare la propria condizione di
pena mettendosi a disposizione del Reparto. In questo senso i detenuti hanno
potuto vivere e sperimentare anche la
propria genitorialità unitamente al bisogno di dare senso alla pena ed
all’esistere.
Uno
dei progetti è la produzione di pane e
biscotti. Questi vengono sfornati
all’interno del carcere, offerti ai bambini in reparto ed utilizzati
anche a scopo benefico. Il ricavato delle offerte viene utilizzato per il fabbisogno del
Reparto e per il raggiungimento degli
obiettivi del progetto.
Recentemente
è stato fatto un concorso tra le scuole
pavesi, indetto dal Comune della città, per dare un nome al biscotto. La giuria
era composta da un paio di detenuti, i rappresentanti del comune, il direttore
del carcere, alcuni medici, alcune guardie carcerarie.
È stata premiata una seconda classe elementare
di una scuola pavese che ha dato ai biscotti il nome di AMICOTTI. I bambini
hanno scritto anche la ricetta che abbiamo riportato sulle confezioni. Recita
in questo modo:
“prendere
2 decilitri di bontà, 1 tazza dolcezza, 4 cucchiai di affetto, 1 dose
abbondante di coccole, aggiungete 2 manciate di sorrisi, 1 pizzico di pazienza,
qualche filo di fantasia, una grande quantità di buon umore. Condite tutte con
tanta allegria. Lasciate cuocere a fuoco lento. Buon appetito!”
L’altro
progetto riguarda la falegnameria del carcere con il progetto di fornitura di supporti e testiere per
lettini e barelle per i bambini
ricoverati.
Il
progetto del libro scritto con un gruppo di detenuti è stata l’esperienza più
toccante. Ai detenuti ha dato occasione di conoscere direttamente le storie dei
bambini malati, seguendo anche il percorso di malattia dei singoli pazienti.
Questo progetto ha richiesto un contatto stretto per oltre un anno e mezzo.
- Bambini malati e detenuti in carcere: due
realtà molto diverse ed apparentemente lontane. Che cosa accomuna questi
due mondi?
Dott.ssa Pelizzo: Mi
viene spontaneo dire che sono due aspetti del mondo caratterizzati da una
“fragilità” estrema. E come tutte le fragilità rischiano l’esclusione e l’emarginazione dal contesto sociale. Sono
la pietra scartata, che non produce interesse, e tanto meno reddito …. Entrambi
vivono condizioni di solitudine, di isolamento, di paura, spesso di mancanza di
prospettive; entrambi vivono dietro le sbarre (del letto e della cella), entrambi nel corso della
storia sono stati considerati un “peccato” della società: il bambino malato una
colpa da espiare, il carcerato “il male” da scontare.
- "Oltre
la cura... oltre le mura": un libro "benefico" ed una storia di
speranza per la nostra società?
Dott.ssa Pelizzo: Si!
Questo è un libro che nasce dalla speranza e che vuole essere motivo di
speranza.
Se due realtà così diametralmente opposte si
sono incontrate ed hanno collaborato e
tuttora vivono insieme
migliorando le condizioni
reciproche e sfidando le
difficoltà burocratiche, istituzionali di tutti i giorni è perché vogliono essere testimonianza del fatto che nel mondo c’è
tanto bene!
Questa
è la testimonianza per la società che si può costruire bene e speranza partendo
dal nulla; che non servono grandi ideali
o bilanci economici per cambiare la realtà; che la semplicità di un incontro
tra due mondi fragili genera semplicità, disponibilità, capacità di ascolto.
Apprezzo la capacità di ascolto di molti detenuti incontrati. L’errore, la
crisi, il dolore della reclusione hanno generato vita, volontà di resurrezione,
bene per sé e per le persone che hanno incontrato.
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