mercoledì 6 febbraio 2013

La donna e l’aborto

La perdita di un figlio per una madre è sempre traumatica. Non si può pensare che una donna della nostra epoca sia diversa dalle sue antenate:    tutte le donne sono costituzionalmente pensate per essere madri. Questo la differenzia dall’uomo e in ciò è insita la sua bellezza; insieme a questa caratteristica somatica c’è anche quella psicologica: la possibilità di fare spazio fisico e mentale all’altro, essere amorevole e accudente. La gravidanza attiva tutte queste qualità insite nella donna e le accentua proprio per essere “ambiente accudente” per il suo futuro figlio.
Perdere un figlio nelle prime settimane o nei primi mesi di gravidanza è veramente uno choc: se il figlio è desiderato, magari lo si aspettava da tempo, era caricato di tutta una serie di aspettative e desideri di maternità sia consci e inconsci. Se non era voluto e si è interrotta la gravidanza volontariamente, è coinvolto anche l’aspetto morale. Secondo la psicoterapeuta Theresa Burke, fondatrice de “La vigna di Rachele”, in molti casi la donna che ha abortito ha violato la propria etica morale e i suoi istinti naturali. La sua immagine interiore di “madre” che nutre, protegge e sostiene la vita subisce un colpo devastante. La donna tende a cambiare il proprio modo di essere, spesso non nell’immediato, ma dopo qualche tempo: il sorriso svanisce, l’autostima si abbassa, il senso di colpa rimane; si adotta un comportamento di evitamento con se stesse, con il partner, con gli altri. Non ci si guarda più allo specchio, non ci si sente più meritevoli di essere felici.  L’immagine che la donna aveva di sé prima dell’evento aborto e l’immagine nuova di sé non corrispondono più. La donna, dopo aver compiuto scelte decisive pensa, erroneamente, di poter andare avanti come se l’evento aborto non fosse mai accaduto. Ma la coscienza, precedentemente messa a tacere, prima o poi si rifà viva dopo l’aborto; infatti è proprio la morte del figlio che rende la donna consapevole del fatto che in precedenza il suo bambino era vivo. Freud definisce il trauma una “situazione di impotenza”, una situazione in cui la violenza d’impatto dell’evento esterno è tale da causare una lacerazione di quella barriera protettiva che di norma respinge efficacemente gli stimoli dannosi. Lo stress post-aborto è una sindrome, non un semplice disturbo. Nel 1981 il dott. V. Rue sviluppò i suoi “criteri diagnostici” basandosi su quelli utilizzati per il disturbo post-traumatico da stress. Leggendo i criteri diagnostici per il disturbo post-traumatico da stress, secondo il DSM IV, la persona deve essere stata esposta a eventi come aver vissuto, assistito o essersi confrontata con un evento che ha implicato morte o minaccia di morte propria o di altri. La risposta della persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore. L’evento traumatico è rivissuto in modo persistente con ricordi dolorosi che comprendono immagini, pensieri, sogni spiacevoli. La persona agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando realmente, ha un disagio psichico intenso se esposta a fattori scatenanti che assomigliano per qualche aspetto all’evento traumatico, che causa reattività fisiologica.
Questo comporta evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività in genere, ansia e preoccupazione eccessiva che si manifestano per almeno sei mesi. La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione. Ansia e preoccupazione sono associate con altri sintomi come sentirsi tesi, facile affaticabilità, difficoltà a concentrarsi, tensione muscolare, alterazione del sonno. Ansia e preoccupazione unite ai sintomi fisici causano un disagio clinicamente significativo, con un’alterazione del funzionamento sociale e lavorativo.
La particolarità di questo disturbo è la tendenza spesso involontaria a rivivere il trauma, talvolta anche durante il sonno, con la presenza di emozioni e reazioni psicofisiologiche vissute al momento dell’avvenimento. La possibile sensazione di intorpidimento affettivo è una delle cause di chiusura all’ambiente esterno con relativa riduzione dell’attività lavorativa e dei rapporti interpersonali. Sintomi imputabili alla iperattivazione sono: difficoltà nell’addormentarsi, improvvise e immotivate reazioni di rabbia e aggressività, difficoltà di concentrazione, ipervigilanza e una reazione di allerta continua.
E’ facilmente comprensibile come tutto questo si ripercuota sulla relazione madre-bambino (figli che ci sono già o che verranno dopo) e che gli effetti di un evento così traumatico come l’aborto possano influenzare negativamente tutte le relazioni intime della donna, madre mancata.
Detto questo si potrebbe pensare che associare l’aborto al trauma sia una cosa logica, ma non è così. L’aborto, soprattutto se è procurato, è avvolto da un forte alone di meccanismi difensivi tipici della nevrosi: negazione, rimozione, intellettualizzazione. Questi meccanismi sono necessari alla donna per giustificare a se stessa e agli altri ciò che ha fatto. Soprattutto nei primi tempi la sensazione di sollievo è quella che prevale: avevo un “problema” che non sapevo come risolvere e adesso non sussiste più. Per molte donne la negazione del fatto che “il problema eliminato” era il loro figlio sussiste per moltissimi anni. Ci sono anche donne però che stanno male nell’immediato: è come se l’avvenuta morte del figlio aprisse loro gli occhi rispetto al fatto che prima era vivo e ora per colpa loro è morto. Quando questa consapevolezza passa dai dolori fisici che seguono un’operazione così invasiva come l’aborto, ai dolori della psiche e dell’anima, allora si sta veramente male. Il processo di mentalizzazione (cioè avere nella mente ciò che si vive nel corpo) è soggettivo e i tempi di elaborazione sono diversi.  Quando però il processo di mentalizzazione è completato per cui si deve scendere a patti con la realtà, cioè che c’era un bambino e adesso è morto, la coscienza prima addormentata, sedata, ora prende il sopravvento. La tragicità della verità si affaccia con tutta la sua crudeltà e la donna si trova, sola, a dover affrontare il suo lutto.

Benedetta Foà
in www.benedettafoa.it




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