di Anna Fusina
E'
di imminente uscita "La Voce negli Occhi", un film che
ripercorre la vicenda di Salvatore Crisafulli, entrato in stato
vegetativo permanente per due anni a causa di un incidente, ma che
poi si risveglia dal coma, riprende coscienza e comunica, rivelando
che, contrariamente a quanto pensavano i medici relativamente alla
sua situazione, lui sentiva e capiva tutto.
Ne
parliamo con il fratello, Pietro Crisafulli, Presidente di Sicilia
Risvegli
onlus.
-
Pietro, l'11 settembre del 2003 succede qualcosa che sconvolge la
vita di suo fratello e di conseguenza di tutta la vostra famiglia...
Per
Salvatore e per tutti noi famigliari e amici quella data, due anni
esatti dopo l'attentato delle torri gemelle di Manhattan, è
diventata il nostro 11 settembre per antonomasia, il giorno che ha
rivoluzionato le vite di ciascuno di noi e ha segnato l'inizio di un
lungo e penosissimo calvario, in un alternarsi di sofferenze, rese e
ribellioni, diagnosi infauste o possibiliste, disperazioni e flebili
speranze.
-
Per i medici Salvatore era in stato vegetativo permanente...
Esattamente.
I medici che visitavano Salvatore dicevano che era in stato
vegetativo permanente e che per lui non c’era niente da fare. A
Innsbruck, in un istituto importante, che noi consideravamo la nostra
ultima spiaggia, un famosissimo luminare studioso di patologie
cerebrali estreme, quali il coma e lo stato vegetativo, sentenziò
che Salvatore era affetto da sindrome apallica, ci disse anche che
avrebbe vissuto al massimo 3-4 anni, ci disse che sarebbe morto.
Quella diagnosi, quelle due parole, Apallisches Syndrome, hanno
continuato a echeggiare nella mia mente per molti mesi, come un
verdetto di resa senza condizioni, di condanna a morte. In pratica
quel dottore ci disse che Salvatore non sarebbe mai più risvegliato
e che sarebbe scivolato progressivamente verso la morte, ma di fatto,
mentre lui pronunciava la sua sentenza di morte, mio fratello lo
ascoltava, e capiva tutto. Non per niente, dopo, gli venne la febbre!
-
La
vostra famiglia ha sempre pensato che si potesse fare qualcosa per
Salvatore. Sua mamma Angela è sempre stata convinta che suo fratello
capisse tutto, al 100%...
Salvatore
capiva tutto, era cosciente. Lui sentiva i medici che dicevano che
sarebbe morto e che i suoi gesti erano involontari. Lui, senza poter
interagire, sentiva le profezie funeste dei medici, la forza
irresistibile del nostro amore senza limiti, le lunghe battaglie
disperate contro strutture sanitarie inaccessibili, costose e sorde
alle mie proteste, anche la ribellione pubblica con la minaccia
plateale di staccargli la spina.
Lui
apriva e chiudeva gli occhi per attirare l'attenzione. Ma non serviva
a niente. Un giorno mia madre, osservandolo attentamente, scoprì che
Salvatore cercava di comunicare. Mi ricordo che siamo entrati nella
sua stanza insieme a mia madre, i miei fratelli, mia moglie, i miei
figli, ed un altro parente. Gli abbiamo chiesto di aprire e chiudere
gli occhi per rispondere alle nostre domande. Gli dicevamo:
“Salvatore, se ci senti apri gli occhi”. E lui eseguiva. Ci siamo
messi insieme a piangere. Facevamo le prove con dei fogli scritti
oppure colorati, lui con gli occhi indicava quello esatto.
-Lei
Pietro ha lottato per suo fratello con grande tenacia, ha bussato a
tante porte...
Durante
un anno e mezzo d'instancabili peregrinazioni e sacrifici umilianti,
Salvatore, muto mendicante di cure e attenzioni, fu trasportato, in
camper, nei migliori centri neurologici di mezza Europa, da Catania a
Messina, dalla Toscana a Milano, dalla Svizzera all'Austria. Ma
nulla, con quella terribile diagnosi di STATO VEGETATIVO PERMANENTE
ovunque bussavamo per chiedere aiuto, ci veniva risposto con
malcelata commiserazione che non c'era niente da fare, che ormai mio
fratello era diagnosticato neuroleso cronico incurabile, quando non
addirittura malato in fase terminale.
Nel
marzo 2005 scoppiò il caso di Terri Schiavo, la ragazza americana in
stato vegetativo da quindici anni. Lo scalpore suscitato dal caso
Schiavo, che portava all’attenzione del mondo il dibattito
sull’eutanasia, mi diede il coraggio di alzare la voce, di urlare
pubblicamente che Salvatore non doveva essere abbandonato nei gorghi
della malasanità, senza cure né assistenza, come una inutile pianta
destinata ad appassire. Partecipai a trasmissioni televisive a forte
impatto di ascolto, minacciai di staccare la spina a Salvatore, se
non fosse stata soddisfatta la mia umanissima aspettativa. Sentivo
nel mio cuore che il mio adorato fratello, dal profondo del suo pozzo
di solitudine, mi chiamava, mi sentiva soffriva con me, mi incitava a
vincere la sua impotenza e a comunicare al mondo la sua voglia di
vivere.
Il
mio appello non cadde nel vuoto, l'opinione pubblica era scossa,
l’idea che un uomo in Italia potesse staccare la spina al fratello
era intollerabile in quel momento storico, intervenne il Ministro
della Salute. Salvatore pochi giorni dopo venne ricoverato in una
struttura specializzata di Arezzo, dove fu verificato che noi
familiari avevamo ragione: Salvatore capiva davvero tutto quello che
gli accadeva intorno, era affetto dalla sindrome da incarceramento
(Locked-In), di cui si sa molto poco.
-La
storia di Salvatore è diventata anche un libro "Con gli occhi
sbarrati..."
«Voglio
raccontare al mondo la mia esperienza. Voglio che tutti sappiano che
cosa vuol dire vivere paralizzati su un letto, senza poter muoversi
né parlare, con i medici che dicono che non capisci niente. Voglio
farlo per aiutare me stesso, le persone come me e i loro familiari».
Con queste parole, Salvatore ci chiese di aiutarlo a scrivere la sua
storia in un libro. Così grazie anche alla giornalista Tamara
Ferrari riuscimmo, dopo quasi un anno dal riconoscimento che
Salvatore era cosciente, a scrivere il libro. Salvatore in quel
momento riusciva a comunicare soltanto grazie a un computer,
selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo. Raccontare la
sua storia non è stato facile. Comporre anche la più semplice delle
parole richiedeva a Salvatore uno sforzo tremendo, perché doveva
attendere che tutte le lettere dell'alfabeto scorressero davanti ai
suoi occhi prima di poter selezionare quella che gli serviva. E così,
ogni volta che gli rivolgevamo una domanda, passava anche un intera
giornata prima che lui rispondesse. Soprattutto all'inizio quando,
turbato dai ricordi, smetteva di scrivere e scoppiava a piangere. Da
quel giorno Salvatore iniziò a raccontarci la storia impressionante
di un malato precipitato in una dimensione esistenziale sconosciuta e
misteriosa per tutti, anche per la scienza.
-Prossimamente
uscirà il film "La voce negli Occhi", un film sulla
vicenda di suo fratello Salvatore . Un sogno diventato realtà?
Esattamente,
grazie anche al suo memoriale, questo sogno è diventato realtà.
Film autoprodotto dalla nostra associazione Sicilia Risvegli onlus.
Tengo a precisare in particolar modo che questo film non è stato
compartecipato da nessuna istituzione interpellata. Con grandi
sacrifici economici, mi sono indebitato fino al collo. "La voce
negli occhi" è stato in parte finanziato da mio nipote Rosario,
che ci ha donato i soldi ricevuti da un risarcimento assicurativo. Il
film racconta la nostra storia sin da bambini, fin dagli anni
trascorsi insieme in collegio. Io e mio fratello eravamo
inseparabili. Una storia toccante, di lotta reale e di bellezza pura
con momenti anche leggeri e divertenti, come i flashback di
Salvatore. Tra passato e presente, nella speranza di un futuro
migliore, il film abbraccia un intreccio di storie dal tono
entusiasta e a tratti nostalgico. Lo spazio per i momenti di
sofferenza vissuti non saranno tanti perché questo progetto è un
grande tributo alla storia di un grande guerriero di nome Salvatore.
Molto presto "La voce negli occhi" sarà diffuso.
-Sul
set anche qualcuno della vostra famiglia?
Sì,
nel mio stesso ruolo ci sono io, e non nascondo che non è stata
assolutamente una passeggiata. Molti ricordi, sofferenza, ho pianto
in diverse scene, uno strazio interminabile. Ma in tanti ci siamo
accorti che accanto a noi c'era Salvatore che ci guidava. Sono
contento di aver trovato un grande regista come Rosario Neri, che
quando lo conobbi mi disse: “Questo film sarà la mia anima”. Da
quel momento iniziò a sistemare la sceneggiatura, ed oggi posso
affermare che si tratta di un vero capolavoro. Nel film ci sono anche
tanti esordienti, tutti in scena per ricordare un uomo dal forte
spirito e coraggio, che seppe sopportare e sorridere al mondo intero
dal lettino nel quale è stato costretto negli ultimi quasi 10 anni
della propria esistenza. Un set cinematografico straordinario, tutte
le persone hanno partecipato gratuitamente. In campo quasi 150 attori
provenienti da tutta Italia. Con la partecipazione straordinaria di
attori già noti, come Enzo Campisi, Giuseppe Santostefano, Maurizio
e Rosalba Bologna, ed Agata Reale, tutti con ruoli molto importanti.
I protagonisti principali oltre a me, sono Carmelo De Luca, che
interpreta Salvatore, Giovanni Gagliano che fa mio fratello Marcello,
e Francesca Tropea nei panni di Rita (mia moglie). Nei panni di mia
madre Angela, la quale non ha mollato mai come noi, c'è Maria
Maugeri.
-
"La voce negli occhi": un film che farà discutere?
Credo
proprio di sì. Ovviamente la storia di Salvatore ha scosso la
comunità politica e scientifica, imponendo l’urgenza di una
riflessione sui parametri assistenziali medici ed etici che segnano
il confine tra vita e morte. Sarà uno stimolo importante alla
ricerca scientifica e, per altro verso, un richiamo a migliorare la
Sanità anche sotto l’aspetto socio-assistenziale.
Fonte: vitanascente.blogspot.it
grazie per questa bella testimonianza!
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