venerdì 16 ottobre 2015

Dalla cicogna all'utero in affitto: soluzione o tratta delle schiave?

di Valeria Randone


In America aumenta, in maniera esponenziale, il numero delle “mamme surrogate” - donne che mettono a disposizione di un’altra coppia il loro utero - e gli italiani con la valigia in mano sono in costante e, preoccupante, aumento.

Leggi l'intero articolo in:

http://www.medicitalia.it/news/psicologia/6066-cicogna-utero-affitto-soluzione-tratta-schiave.html

lunedì 12 ottobre 2015

I bambini in affido possono restare in famiglia

12/10/2015  Sta per diventare legge il "diritto alla continuità affettiva" dei minori in affido. Se verrà approvata dalla Camera, i bambini che sono in stato d'affido presso una famiglia, potranno anche essere adottati da quest'ultima, evitando un secondo distacco.



I bambini che sono in stato d’affido presso una famiglia, potranno anche essere adottati dalla stessa, qualora risultasse impossibile il ritorno alla famiglia d’origine.  Siamo ormai a un passo dall’approvazione definitiva di una legge (il voto in Parlamento è previsto per il 13 ottobre)  che segna una rivoluzione nel campo delle adozioni: per la prima volta in Italia diventa operante il “diritto  alla continuità affettiva  dei bambini e delle bambine in affido familiare”. Questo è il nome del ddl 1209 già approvato dal Senato l’11 marzo scorso, che vede come prima firmataria la senatrice Francesca Puglisi (Pd), e che permetterà anche alla famiglia affidataria di concorrere per l’adozione del minore, proprio in forza dei “legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia”, come recita l’articolo 1 della legge stessa. In pratica si equiparano ad ogni livello le condizioni  dei genitori affidatari alle coppie richiedenti un minore in adozione.   

  La legge cerca di porre rimedio al fenomeno  diffusissimo del cosiddetto affido “sine die”, cioè il prolungarsi per tempi  abnormi dello stato di affidabilità di un minore, lasciando però i genitori “a tempo” privi della possibilità di  rendere definitivo il rapporto col minore.  L’intervento della legge va nella direzione di tutelare l’interesse superiore del bambino, troppo spesso  esposto a nuovi, laceranti distacchi.

     Il dibattito sulla proposta di legge, in questi anni, è stato assai lungo e conflittuale perché toccava la delicata questione dei requisiti per l’adottabilità che, secondo la legge 184 del 1983 che norma l’adozione in Italia, escludono questa possibilità per le coppie di fatto e i single. la stesura finale  della 1209 mantiene inalterati quei requisiti, con una novità:  permette alle coppie affidatarie, ma non idonee all’adozione, soltanto  di mantenere un legame coi i minori, anche nel caso questi vengano adottati da altri. 

    Questo il commento della senatrice Puglisi sulla legge: “Ci sembra un passo importantissimo. Nella vita, purtroppo, ci sono dolori che non si possono evitare, ma se è la rigidità della legge a causarne nuovi, allora la legge va cambiata. Purtroppo, accade non di rado che bambini e bambine vedano protrarsi  il periodo di affidamento. Sono oltre il 60% dei casi di affido. Costringerli a vivere una nuova esperienza di distacco e di abbandono, qualora diventino adottabili, non giova certo alla loro crescita. Eppure i tribunali continuano a decidere in modo difforme e non sempre nel superiore interesse del minore. E’ necessario dunque superare questi  inutili e dannosi ostacoli. Quando il rapporto di affido familiare si protrae e il minore viene dichiarato adottabile, con la legge 1209 viene offerta la possibilità alla famiglia o alla persona affidataria che ne faccia richiesta, se corrisponde al superiore interesse del minore, la possibilità di essere considerata in via preferenziale ai fini dell’adozione stessa. Resta fermo l’obiettivo di far tornare il minore nella famiglia di origine, ma intanto la legge interviene per assicurare al bambino una continuità di affetti e di legami”.    

Fonte: famigliacristiana.it

venerdì 2 ottobre 2015

Contraccettivi o abortivi?



Contraccezione_emergenza

La prima è stata la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, arrivata in Italia nel 2000, seguita dalla “pillola dei 5 giorni dopo” nel 2012.
Presentate come “contraccettivi di emergenza” (per i meccanismi di azione vai a È davvero “contraccezione” d’emergenza?) promettono di impedire l’inizio di una gravidanza indesiderata dopo un rapporto sessuale “non protetto”. Rapidamente diffuse, soprattutto nella fascia di età 15 – 35 anni, insieme arrivano a circa mezzo milione di confezioni vendute in farmacia ogni anno, il 55% a minorenni.
Non tutto, però, è liscio come appare. Che abbiano un’azione abortiva in un numero elevato di casi è comprovato da numerosi studi internazionali ed è ammesso dalle stesse case produttrici, che ovviamente minimizzano e mascherano la realtà nei foglietti illustrativi (i bugiardini) attraverso un linguaggio tecnico falsamente rassicurante.
Vediamo cosa sono e come agiscono veramente.

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La pillola del giorno dopo
Le più vendute:
Norlevo, della HRA Pharma spa, costo € 13,00 circa
Levonelle, della Schering spa, costo € 12,40 circa
In commercio dal novembre 2000; è richiesta la prescrizione medica non ripetibile (cioè valida per una confezione) rilasciata del consultorio, del medico curante, della guardia medica.
 Vendite in Italia: 360.000 confezioni all’anno (dati HRA Pharma Italia; non è specificato se si riferiscano al solo prodotto Norlevo o siano globali)

Il principio attivo è il Levonorgestrel, un ormone progestinico presente anche in molte pillole contraccettive, impiegato con un dosaggio 10-15 volte maggiore.
Le indicazioni raccomandano l’uso «preferibilmente entro 12 ore, dopo il rapporto sessuale non protetto e non oltre 72 ore (3 giorni) dopo il rapporto. Norlevo può essere assunto in qualsiasi momento del ciclo mestruale».
Nella versione precedente del bugiardino vi era l’annotazione «potrebbe anche impedire l’impianto» dell’embrione, ma nella nuova stesura, accettata dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) nel dicembre 2013, la frase è stata cancellata e si legge che «Norlevo agisce bloccando il rilascio dell’ovulo dalle sue ovaie. Non può impedire l’impianto nell’utero di un ovulo fecondato». Infine, si aggiunge che «è stato dimostrato che Norlevo previene dal 52% all’85% delle gravidanze attese».
Queste affermazioni sono contraddette da uno studio sul Levonorgestrel e altre molecole contraccettive condotto da Susan E. Wills del Charlotte Lozier Institute di Washington, che dimostra come tutti i contraccettivi d’emergenza possano agire come abortivi.
L’autrice compara i risultati delle ricerche di altri studiosi, tra cui Bruno Mozzanega ed Erich Cosmi del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Padova, Rebecca Peck (Facoltà di Medicina della Florida State University) e Juan R. Vélez, Gabriela Noé e colleghi (Istituto Cileno di Medicina Riproduttiva – ICMER).
Tutti questi studiosi concordano sulla conclusione che il Levonorgestrel abbia un’alta probabilità di agire nella fase successiva alla fecondazione, quando l’embrione è già formato. Esso, infatti, inibisce l’ovulazione solo se somministrato prima o appena all’inizio del periodo fertile. Se invece è somministrato quando il periodo fertile è già cominciato il Levonorgestrel fallisce come contraccettivo nell’80­-92% dei casi, cioè l’ovulazione avviene ugualmente ed è possibile che inizi una gravidanza. Inoltre, sono riportati nella letteratura scientifica i suoi effetti di modificazione dell’endometrio, cosa che impedirebbe l’impianto dell’embrione nell’utero.
Quale sia il suo effetto nel periodo tra il concepimento e l’annidamento non è chiarito in alcuno studio sulla sua efficacia, tanto che la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia e il Consorzio Internazionale per la Contraccezione d’emergenza, che approvarono il farmaco come contraccettivo d’emergenza, in maniera sibillina dichiararono che “l’inibizione o il ritardo dell’ovulazione dovrebbe essere il suo principale e forse unico meccanismo di azione”.
Le alte percentuali di successo della “pillola del giorno dopo” autorizzano a pensare che, nella migliore delle ipotesi, in gran parte dei casi venga assunta al di fuori del periodo fertile, col risultato di introdurre nell’organismo significative dosi di ormoni inutilmente; nella peggiore delle ipotesi, che svolga un’azione abortiva precoce, impedendo lo sviluppo di un embrione già formato, almeno nel 18-20% dei casi.
Il che equivale a dire che provoca circa 70.000 cripto-aborti l’anno.

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La pillola dei 5 giorni dopo
La più venduta: EllaOne, della HRA Pharma spa, costo € 34,89
In commercio da aprile 2012. Fino a qualche mese fa era richiesta la prescrizione medica e l’obbligo del test di gravidanza, ma nel marzo 2015 ne è stata completamente liberalizzata la vendita, senza prescrizione né test, per le maggiorenni; rimane la prescrizione solo per le minorenni.
Vendite in Italia: 20˙000 confezioni all’anno (dati 2014, L’Espresso). 
EllaOne  va assunta entro 120 ore (5 giorni) dal rapporto sessuale e promette un’efficacia del 98% nell’evitare la gravidanza.

Il principio attivo è l’Ulipristal Acetato (UAP), «un modulatore selettivo sintetico del recettore del progesterone, che agisce legandosi con grande affinità al recettore umano del progesterone. Si ritiene che il meccanismo d’azione primario consista nell’inibire o ritardare l’ovulazione».
L’UAP è una molecola quasi perfettamente sovrapponibile per struttura chimica a quella del Mifepristone, l’ormone della pillola abortiva RU486, usato in ospedale per l’interruzione della gravidanza fino alla 7a settimana. Simile anche l’effetto di sostanza progestinica antagonista del progesterone, che blocca i suoi recettori e provoca modificazioni nell’endometrio dell’utero.
Ciò che le differenzia, in realtà, è il dosaggio e il periodo dell’assunzione consigliato. Infatti, come ha affermato il prof. Bruno Mozzanega (Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Padova): «Se per l’interruzione chimica della gravidanza si utilizzano 200 mg di RU486, è verosimile che lo stesso quantitativo di UAP sia in grado di sopprimere, in eguale modo, l’embrione», dose che equivale a circa 4 compresse di EllaOne.
Questi effetti sono riconosciuti possibili – anzi lo erano – nell’ “Assessment Report per EllaOne” (EMEA/261787/2009) redatto nel 2009 dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) che mise in commercio il farmaco, nel quale un intero paragrafo era dedicato a «Off-label use as an abortifacient», vale a dire all’impiego fuori etichetta come abortivo.
Quindi, stando alla documentazione 2009, la pillola dei 5 giorni poteva avere diversi effetti: bloccare l’ovulazione se assunta prima che questa avvenga; impedire l’impianto dell’embrione in utero, interferendo nel corretto sviluppo dell’endometrio; agire anche durante i primi due mesi di gravidanza sfaldando l’endometrio e provocando la morte del bambino, se presa in dosi maggiori.
Nella documentazione aggiornata al 2014 e nel bugiardino presentati all’EMA, però, si legge che «EllaOne non interrompe una gravidanza esistente».
Poiché con questa dicitura, secondo l’accezione attuale, ci si riferisce ad un embrione già impiantato nell’utero, cioè oltre i 5 giorni dal concepimento, sorge spontanea la domanda: se l’embrione non è ancora arrivato nell’utero, troverà un tessuto adatto ad accoglierlo e potrà impiantarsi?
La risposta non è chiara né confortante, poiché più avanti si legge che «i dati provenienti da studi di tossicità riproduttiva sono limitati per l’assenza di misurazioni dell’esposizione in questi stessi studi». Inoltre «Ulipristal acetato ha un effetto embrioletale in ratti, conigli (a dosi ripetute superiori a 1 mg/kg) e scimmie. Non si hanno dati sulla sicurezza per l’embrione umano con queste dosi ripetute».
Ciò nonostante, l’azienda produttrice HRA Pharma, ha richiesto di classificare EllaOne come “medicinale non soggetto a prescrizione medica” e l’EMA, nella riunione del 21 novembre 2014, col voto a maggioranza (21 su 31), ha approvato la richiesta. La Commissione Europea poi l’ha ratificata con la raccomandazione agli Stati membri di eliminare l’obbligo di prescrizione.
Il rappresentante italiano dell’Agenzia del Farmaco (AIFA), in quella riunione, aveva espresso parere contrario, a causa della «mancanza di dati scientifici sufficienti per trarre conclusioni certe circa l’assenza di effetti fetotossici o teratogenetici».
Il Governo italiano, allora, dovendo decidere se modificare il regime di vendita di EllaOne, ha interpellato il Consiglio superiore della Sanità (CSS) che pure si è espresso autorevolmente per il mantenimento della prescrizione medica, indipendentemente dall’età della donna (10 marzo 2015), anche per i rischi connessi ad un uso frequente non controllato.
A questo punto, non si sa cosa sia accaduto nei 15 giorni successivi ma dev’essersi trattato di qualcosa di veramente sbalorditivo, visto che l’AIFA il 25 marzo 2015 ha liberalizzato la vendita di EllaOne come medicinale da banco per le maggiorenni, e ha conservato l’obbligo della sola ricetta per le minorenni.
In un colpo solo, l’AIFA ha contraddetto il parere espresso dai propri tecnici all’EMA, se n’è infischiata del parere del CSS e ha ignorato la poderosa documentazione internazionale sugli effetti abortivi depositata dai parlamentari che si opponevano alla liberalizzazione.
La prima conseguenza di questo inspiegabile cambiamento sarà il boom delle vendite di EllaOne, rimaste basse (si fa per dire) in passato sia per il prezzo elevato sia per le difficoltà di acquisto (ricetta + test). Ora sarà facile come comprare l’aspirina. Paradossalmente, per la pillola del giorno dopo resta l’obbligo di ricetta.
Quante saranno le donne che pagheranno volentieri i 20 euro in più del prezzo di EllaOne per non doversi più preoccupare della ricetta? Quante saranno le minorenni che chiederanno il favore ad un’amica più grande? E quanto tempo ci vorrà prima che sui siti compiacenti sarà indicato il dosaggio da usare per provocare aborti alla 4a – 5 a settimana e oltre?

Fonte: http://www.editorialeilgiglio.it/