venerdì 31 maggio 2013
Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune
Dal 2 al 9 giugno 2013 la mostra itinerante «Che cos'è l'uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jerome Lejeune» farà tappa presso la Hall dell’Ospedale “S. Donato” di Arezzo.
La mostra, dedicata a J. Lejeune, lo scienziato che scoprì il cromosoma 21, all’origine della sindrome di Down, sarà inaugurata lunedì 3 giugno 2013 alle ore 18.00 presso l’Auditorium dell’Ospedale S. Donato di Arezzo. Interverranno:
PIERLUIGI STRIPPOLI - professore associato di Biologia Applicata, responsabile del Laboratorio di Genomica del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna
ROSSANO SANTUARI e ROBERTA SCIASCIA - genitori adottivi di bambina affetta da sindrome di Down, membri dell'associazione “Famiglie per l’accoglienza”
Orari mostra: 10.00 – 20.00
Info e prenotazioni visite guidate: centroculturale.arezzo@gmail.com
Etichette:
genetica. ricerca scientifica,
genitori,
Jérôme Lejeune,
Pierluigi Strippoli,
Roberta Sciascia,
Rossano Santuari,
sindrome di Down,
trisomia 21
giovedì 30 maggio 2013
S.O.S. VITA
Che cos’è il telefono “Sos vita”?
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata.
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
Risponde
un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente
motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di
aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture
di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto
telefonica.
Questo
telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma
attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento
attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260
Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.
Telefono e rete dei Cav e dei Mpv costituiscono un unico servizio.
Telefono e rete dei Cav e dei Mpv costituiscono un unico servizio.
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata.
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
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E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
Risponde
un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente
motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di
aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture
di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto
telefonica.
Questo
telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma
attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento
attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260
Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.
Telefono e rete dei Cav e dei Mpv costituiscono un unico servizio.
Fonte: mpv.org
Telefono e rete dei Cav e dei Mpv costituiscono un unico servizio.
Fonte: mpv.org
mercoledì 29 maggio 2013
MOSTRA SU LEJEUNE: INTERVISTA AI RICERCATORI OMBRETTA SALVUCCI E PIERLUIGI STRIPPOLI
Articolo pubblicato sul nr. 19/2013 de "IL NUOVO AMICO" di PESARO
Fonte: www.anffaspesaro.com
Allarme autismo: terapie molecolari la cura del futuro
Press-IN anno V / n. 1209
Avvenire del 28-05-2013
ROMA. Dai tre o quattro casi ogni 10mila bambini del 1985, siamo arrivati oggi a uno su 100: l’autismo ormai non è più una patologia rara. Si manifesta attorno ai tre anni con la difficoltà a intrecciare relazioni, fino al completo isolamento. Molti i fattori di questo allarmante boom: una delle cause è il concepimento in età sempre più adulta, ma è probabile che molti casi di autismo in passato venissero classificati come generico ritardo mentale. Il fattore preponderante all’origine della sindrome è genetica, ma esistono fattori ambientali come alcune infezioni virali o l’esposizione a farmaci anti-epilettici o a determinati pesticidi nei primi mesi di gravidanza.
Grandi speranze arrivano dalla ricerca. Il professor Antonio Persico, neuropsichiatra infantile e ricercatore dell’Università Campus Bio- Medico di Roma, spiega che, grazie ad analisi genomiche e sequenziamento di singoli geni, «tra alcuni anni grazie alle nuove terapie molecolari personalizzate saremo in grado di curare in modo risolutivo l’autismo nel singolo paziente». Oggi le terapie sono soprattutto comportamentali e psico-educative, solitamente a carico delle famiglie che spendono dai 900 ai 1.700 euro al mese.
Anche per venire incontro a queste esigenze a Milano è nato il centro Mafalda Luce - di pertinenza del Campus Bio-Medico - un modello che mira all’eccellenza in diagnostica, assistenza clinica, ricerca e formazione. Il Campus fa parte del consorzio incaricato dall’Ue di produrre protocolli diagnostici e terapie molecolari personalizzate. L’Unità ambulatoriale di Neuropsichiatria dell’infanzia del Campus, che opera presso il centro Luce, fornisce prestazioni mediche e psicodiagnostiche.
Per sostenere questa iniziativa l’Associazione 'Amici dell’Università Campus Bio-Medico onlus' promuove fino al 1° giugno una raccolta di fondi. Si possono donare 2 euro attraverso sms oppure 2 o 5 euro chiamando da rete fissa il numero 45502.
di Luca Liverani
Avvenire del 28-05-2013
ROMA. Dai tre o quattro casi ogni 10mila bambini del 1985, siamo arrivati oggi a uno su 100: l’autismo ormai non è più una patologia rara. Si manifesta attorno ai tre anni con la difficoltà a intrecciare relazioni, fino al completo isolamento. Molti i fattori di questo allarmante boom: una delle cause è il concepimento in età sempre più adulta, ma è probabile che molti casi di autismo in passato venissero classificati come generico ritardo mentale. Il fattore preponderante all’origine della sindrome è genetica, ma esistono fattori ambientali come alcune infezioni virali o l’esposizione a farmaci anti-epilettici o a determinati pesticidi nei primi mesi di gravidanza.
Grandi speranze arrivano dalla ricerca. Il professor Antonio Persico, neuropsichiatra infantile e ricercatore dell’Università Campus Bio- Medico di Roma, spiega che, grazie ad analisi genomiche e sequenziamento di singoli geni, «tra alcuni anni grazie alle nuove terapie molecolari personalizzate saremo in grado di curare in modo risolutivo l’autismo nel singolo paziente». Oggi le terapie sono soprattutto comportamentali e psico-educative, solitamente a carico delle famiglie che spendono dai 900 ai 1.700 euro al mese.
Anche per venire incontro a queste esigenze a Milano è nato il centro Mafalda Luce - di pertinenza del Campus Bio-Medico - un modello che mira all’eccellenza in diagnostica, assistenza clinica, ricerca e formazione. Il Campus fa parte del consorzio incaricato dall’Ue di produrre protocolli diagnostici e terapie molecolari personalizzate. L’Unità ambulatoriale di Neuropsichiatria dell’infanzia del Campus, che opera presso il centro Luce, fornisce prestazioni mediche e psicodiagnostiche.
Per sostenere questa iniziativa l’Associazione 'Amici dell’Università Campus Bio-Medico onlus' promuove fino al 1° giugno una raccolta di fondi. Si possono donare 2 euro attraverso sms oppure 2 o 5 euro chiamando da rete fissa il numero 45502.
di Luca Liverani
lunedì 27 maggio 2013
Pillola del giorno dopo: un "attacco diretto" al nascituro : lo dice la delegazione della Santa Sede all’OMS
La
cosiddetta pillola del giorno dopo, spesso chiamata "contraccezione
d'emergenza" dalla classe medica, non è un "prodotto
salva-vita": il capo della Delegazione della Santa Sede lo ha detto alla
66a Assemblea Mondiale della Sanità a
Ginevra questa settimana. Tali farmaci sono in realtà "un attacco
diretto" alla vita del nascituro.
Nel suo discorso, l'Arcivescovo Zygmunt Zimowski ha risposto alla Risoluzione EB132.R4 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che esorta gli Stati membri a migliorare la qualità, la fornitura e l'uso di 13 "prodotti salva-vita."
L'elenco comprende la "contraccezione d'emergenza".
Zimowski ha detto che la Santa Sede "concorda fortemente con l'esigenza di ridurre ulteriormente la perdita di vite umane e di prevenire le malattie attraverso un maggiore accesso agli interventi economici", ma ha insistito che essi devono essere tutti "rispettosi della vita e della dignità di tutte le madri e di tutti i bambini in tutte le fasi della vita, dal concepimento alla morte naturale ".
Mentre alcune raccomandazioni dell’OMS "sono veramente salva-vita, quella della “contraccezione d'emergenza' difficilmente può essere etichettata come tale in quanto è ben noto che, quando il concepimento è già avvenuto, talune sostanze impiegate nella “contraccezione d'emergenza” producono un effetto abortivo ", ha affermato Zimowsky.
Nel suo discorso, l'Arcivescovo Zygmunt Zimowski ha risposto alla Risoluzione EB132.R4 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che esorta gli Stati membri a migliorare la qualità, la fornitura e l'uso di 13 "prodotti salva-vita."
L'elenco comprende la "contraccezione d'emergenza".
Zimowski ha detto che la Santa Sede "concorda fortemente con l'esigenza di ridurre ulteriormente la perdita di vite umane e di prevenire le malattie attraverso un maggiore accesso agli interventi economici", ma ha insistito che essi devono essere tutti "rispettosi della vita e della dignità di tutte le madri e di tutti i bambini in tutte le fasi della vita, dal concepimento alla morte naturale ".
Mentre alcune raccomandazioni dell’OMS "sono veramente salva-vita, quella della “contraccezione d'emergenza' difficilmente può essere etichettata come tale in quanto è ben noto che, quando il concepimento è già avvenuto, talune sostanze impiegate nella “contraccezione d'emergenza” producono un effetto abortivo ", ha affermato Zimowsky.
E ha
aggiunto:"Per la mia delegazione, è totalmente inaccettabile fare
riferimento a un prodotto medico che costituisce un attacco diretto alla vita
del bambino in utero come un "prodotto salvavita" e, molto peggio, per
incoraggiare il crescente uso di tali sostanze in tutte le parti del mondo “.
Patrick Buckley, il responsabile affari internazionali della Società per la protezione dei bambini non nati, ha commentato che l'intervento è stato ben collocato.
L'Assemblea Mondiale della Sanità è l'assemblea generale annuale dell'Organizzazione mondiale della sanità (WHO) e sta discutendo sulla copertura sanitaria universale, sulla salute delle donne e dei bambini e sta monitorando i risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, i quali hanno rilevanza per la questione dell'aborto e della contraccezione artificiale.
Patrick Buckley, il responsabile affari internazionali della Società per la protezione dei bambini non nati, ha commentato che l'intervento è stato ben collocato.
L'Assemblea Mondiale della Sanità è l'assemblea generale annuale dell'Organizzazione mondiale della sanità (WHO) e sta discutendo sulla copertura sanitaria universale, sulla salute delle donne e dei bambini e sta monitorando i risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, i quali hanno rilevanza per la questione dell'aborto e della contraccezione artificiale.
traduzione a cura di Anna Fusina
Clicca qui per leggere l’intero articolo originale
pubblicato da LifeSiteNews in inglese:
http://www.lifesitenews.com/news/morning-after-pill-a-direct-attack-on-the-unborn-holy-see-delegation-tells?utm_source=LifeSiteNews.com+Daily+Newsletter&utm_campaign=46871c262d-LifeSiteNews_com_Intl_Full_Text_05_24_2013&utm_medium=email&utm_term=0_0caba610ac-46871c262d-397581617
Fonte: LifeSiteNews
giovedì 23 maggio 2013
Inagurata al Policlinico di Bari la mostra “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune”
22 maggio 2013
di Francesco Elios Coviello
Si è svolto ieri pomeriggio, nell’ aula magna del Policlinico di Bari, gremita di studenti, medici, professori e semplici curiosi, l’incontro di inaugurazione della mostra Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune, che verrà esposta al pubblico nel corso di questa e della prossima settimana.
Invitati a
presentarla sono stati tre ricercatori correlati, ognuno a suo modo,
alla scoperta e alla persona del medico francese che scoprì la Trisomia
21 e che è protagonista dell’esposizione. Domenico Flagiello, docente di
Biologia dell’Università di Parigi VII “D. Diderot”, conosciuto dagli
studenti durante la scorsa edizione del Meeting di Rimini come prima
guida ai pannelli della mostra, ha fatto un’interessante premessa: “La
proposta che viene presentata nel salone antistante quest’aula, da
domani pomeriggio a sabato mattina, non è una rinuncia alla propria
sensibilità o alla propria idea, ma uno sforzo di immedesimazione, una
possibilità di scoprire lo sguardo di Jérôme Lejeune, come
riporta il sottotitolo, e di vedere le cose dal suo punto di vista
inedito e sorprendente”. Una sorta di scambio di occhi, quindi, ed è
proprio dagli occhi chiari e dal sorriso sincero e insieme appassionato
del geniale pediatra, genetista e biochimico che prende avvio questo
viaggio nella sua esperienza, animata da una tensione instancabile alla
verità. Questa forza si esprime dunque in un’esigenza, quella della
ricerca scientifica, applicata alla realtà della sindrome di Down, così
vicina nel reparto di pediatra del Saint-Louis di Parigi e così oscura
nelle cause e nella terapia, e porta alla brillante intuizione,
avvalorata poi da evidenze sperimentali, del cromosoma in più nella
coppia 21. E’ il 1958, questa è l’origine della patologia e questa la
strada giusta per comprendere anche le altre malattie cromosomiche.
Nasce così la moderna citogenetica, seguono altre scoperte, come quella
della causa della sindrome del cri du chat, e la ricerca non si ferma
all’eziologia o alla descrizione dei sintomi ma si apre alla prospettiva
della cura. A questo punto appare tutta l’umanità e la compassione di
Lejeune, medico per vocazione e ricercatore per necessità, dove la
necessità è quella di trovare una cura e di farlo al più presto, prima
che si possa decidere se loro, i suoi piccoli pazienti, debbano vivere o
morire, prima che si possa giocare all’immatura dama della selezione
artificiale e dell’eugenetica. “Allora resta una via, una sola, guarirli
e guarirli in fretta.” E ancora: “Troveremo. E’ impossibile non
trovare, è molto meno difficile che mandare un uomo sulla luna”. “Quella
di Lejeune è la storia di un ottimista” afferma Flagiello: “non per
indole ma per realismo, non per una predisposizione positiva alla vita
ma per un’acutezza di sguardo, propria di un eccellente scienziato, che
non trascurava nessun fattore e che andava dritta al problema, con la
fiducia, anch’essa razionale, di poter comprendere e di poter guarire.” E
prosegue: “Lavorando con un mio professore, ch’era stato allievo di
Jérôme Lejeune, ho compreso quanto la ricerca sia un continuo domandare,
in maniera esponenziale, e fare una scoperta significhi aprire
centinaia di nuovi interrogativi. Egli, come il suo maestro, credeva
bene che il nostro intelletto possa comprendere le leggi dell’universo,
col quale è in sintonia.” Ma Lejeune non è solo questo, è anche il
medico che compatisce i genitori in difficoltà, che consola e che ridà
fiducia, come dimostrano le testimonianze di tanti padri, madri e figli
trisomici. “E’ tutto questo ma è un uomo solo, una persona unita,
integra, dunque medico sì, ma fino in fondo all’anima” conclude il
professore.
La parola spetta a
questo punto a Rosa Anna Vacca, ricercatrice del CNR di Bari ma innanzi
tutto madre di un bambino trisomico. “Io e mio marito l’abbiamo accolto
pieni di dubbi, guardando solo gli aspetti negativi della situazione, ma
poi abbiamo riconosciuto in lui un dono, vera espressione di un amore
eccezionale, seppure dotato di una maniera semplice di esprimersi come è
quella di mio figlio Enrico”. La dottoressa ha poi chiarito le
caratteristiche principali della malattia e i suoi aspetti più
preoccupanti, come la tendenza a invecchiamento e neurodegenerazione
precoci. Sono stati menzionati i
fattori e le proteine responsabili di alcuni dei sintomi e i loro
effetti e si è parlato della complessità a scoprire i completi
meccanismi metabolici che dal cromosoma soprannumerario condurrebbero
alle caratteristiche note, considerando anche l’intricato network
d’informazioni e d’influenze che s’intesse all’interno del genoma umano.
Ha anche comunicato la scarsa attenzione che la ricerca biologica
rivolge alla cura per la trisomia 21, più orientata alla miglior
definizione dei metodi di diagnosi prenatale, e la diminuzione nel corso
degli ultimi anni dei soggetti trisomici in Italia, al punto da far
riferire alla sindrome di Down la definizione di malattia rara,
con un affetto su duecento. Ed a realizzare ciò ha contribuito la
frequenza di aborti e l’utilizzo della diagnosi prenatale come mezzo di
riconoscimento e selezione e non opportunità di cura prima del parto.
Ritorna perciò l’esperienza di Jérôme Lejeune, conosciuta dalla
dottoressa Vacca per caso nel cercare un ente che finanziasse le sue
ricerche sui mitocondri e su un estratto del tè verde che riattiva la
loro funzionalità riducendo lo stress ossidativo e il deficit
bioenergetico. Lo studio su questa molecola,
l’epigallocatechina-3-gallato, è stato finanziato dalla Fondazione
Lejeune, istituzione chiave in Francia per la ricerca sulla trisomia 21 e
sulle altre patologie di origine cromosomica, fondata l’indomani della
morte del genetista, nel 1996. L’estratto ha inoltre la proprietà di
superare le barriere ematoencefalica e placentale e così si presenta
come una possibilità di poter intervenire in senso terapeutico sul feto
affetto, come era negli auspici del pediatra e genetista francese.
L’ultimo intervento è
quello di Pierluigi Strippoli, medico e professore di Biologia Applicata
dell’Università di Bologna, che ha voluto esordire con un ragguaglio
storico sulla sindrome e sul suo studio, partendo dalla prima
descrizione medica dell’inglese John Langdon Down ed evidenziando
l’accento di razzismo che era contenuto nella prima definizione della
condizione, “mongolismo”, a cui si associava la torma dei pregiudizi cui
l’ignoranza sulla patologia dava adito. Jérôme Lejeune vince su queste
congetture e dimostra, con la pura lucidità del medico e dello
scienziato, ch’essi, i trisomici, come dopo il 1959 vengono chiamati,
sono uomini e dotati di pari dignità rispetto a qualsiasi altro
individuo. E le parole di Bruno, il ragazzo trisomico che al termine del
funerale del medico francese, nel 1994 a Notre Dame, strappa un
microfono per poter parlare, esprime palesemente questa realtà: “Ti
ringrazio mio professore per quello che hai fatto per mio padre e mia
madre. Grazie a te, sono fiero di me.” E’ un uomo che cambia la vita
delle persone che lo incontrano, grazie a uno sguardo che non esclude
nulla, nemmeno il dolore, ed è pronto a rischiare tutto – anche un
premio Nobel – per la riuscita della sua impresa, quella di trovare una
cura e di difendere i suoi piccoli pazienti. E cambia la vita anche a
chi lo conosce indirettamente, come a Strippoli stesso, che racconta di
aver scelto di dedicarsi alla ricerca subito dopo la laurea in Medicina e
Chirurgia e di essere stato indirizzato dal suo professore allo studio
della sindrome di Down. Per nulla motivato, intraprende tiepide ricerche
e tuttavia scopre che, sebbene nel 2000 sia stato completato il
sequenziamento del cromosoma 21, un gene di circa 100.000 basi non è
ancora stato scoperto. Determinante è però l’incontro con la famiglia
Lejeune e il monito di questa: “You must see patients.” Convinto, il
medico bolognese inizia a frequentare l’ambulatorio e a incontrare i
bambini, seguendo le orme del genetista francese, e da questo momento
sgorgano giovani intuizioni, oltre all’inesauribile insegnamento che c’è
sempre da imparare. “Mi pare che questi bambini non abbiano tanta
difficoltà nel comprendere quanto più nel comunicare” afferma il
ricercatore, che ha ripreso lo studio sulla malattia. “La sindrome
di Down è una malattia che fa paura: perché mentre per molte altre sono
pochi i geni implicati, per questa non se ne conosce il numero preciso e
quindi la sfida è nel trovare il musicista che stona”,
nell’efficace metafora riportata anche in uno dei pannelli della mostra.
E le intuizioni di Lejeune, considerato da Strippoli uno dei più grandi
scienziati del ventesimo secolo, continuano ad essere studiate proprio
per la loro lungimiranza, straordinaria per l’età storica e i mezzi:
“Egli già diceva che la trisomia è una malattia da intossicazione, noi
lo stiamo studiando, ed inoltre negli individui considerati normali
v’è comunque una piccola percentuale di cellule mutate, trisomiche e
monosomiche, pari in media al 2%, e la differenza con i soggetti Down
sta in questa percentuale, che cresce, ma in uno spettro variabilissimo.
Da cosa dunque noi decidiamo chi è normale e chi no e, ancor peggio,
chi ha diritto alla vita e chi alla morte?” Conclude il ricercatore:
“Inoltre Jérôme Lejeune era convinto che partendo dalla trisomia si
possano capire le monosomie e noi ci stiamo rendendo conto che il modo
migliore è questo.”
Cosa resta della vita
di un uomo così grande, così arditamente innamorato della vita e
dell’uomo, così realista eppure così ispirato dall’alto ideale? La
certezza che si può continuare a cercare e, ancor più, la certezza che
la risposta c’è, gli sguardi, le parole, i volti e l’opera di chi cerca
ne sono la promessa.
Troveremo. E’ impossibile non trovare, è molto meno difficile che mandare un uomo sulla luna.
La mostra rimarrà
esposta nei giorni dal 22 al 24 maggio nello spazio antistante l’Aula
Magna del Policlinico, dalle ore 14.00 alle 20.00, il 25 maggio nella
mattinata, e poi continuerà ad essere fruibile nell’aula D del palazzo
di Biologia, nel Campus Universitario di Bari, negli orari 8.00-9.00,
13.30-15.00, 17.00-20.00.
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martedì 21 maggio 2013
Infertilità: un lutto da elaborare
di Anna Fusina
Intervista alla Dott.ssa Benedetta Foà, psicologa clinica, counselour
specializzata in post-aborto, psicoterapeuta in formazione presso la
S.I.S.P.I., autrice di vari articoli sulla sindrome post-abortiva e
sull’elaborazione del lutto nel post-aborto, coautrice del libro “Maternità Interrotte - Le conseguenze
psichiche dell’IVG” (a cura di Cantelmi, Cacace, Pittino, ed. San Paolo)
- Dottoressa Foà, che differenza c'è tra sterilità ed infertilità?
Dott.ssa Foà: Sono due concetti differenti. La sterilità è l’incapacità di concepire e l’infertilità l’impossibilità di portare a termine la gravidanza.
Questa differenza non è solo concettuale perchè gli studi effettuati per
conoscere cause e trattamenti risolutori
sono differenti. Non è lo stessa cosa parlare di una coppia con impossibilità a
concepire o di una coppia che concepisce senza difficoltà ma non riesce a
portare a termine una gravidanza.
Inizio modulo
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), relativamente ai concetti di sterilità ed infertilità, ha stabilito una terminologia che si rifà a
riferimenti temporali precisi:
- sterilità primaria: mancato concepimento per un periodo di due anni nonostante la regolarità dei rapporti sessuali;
- sterilità secondaria: impossibilità di concepire un altro figlio dopo una precedente gravidanza, nonostante la regolarità dei rapporti sessuali per due anni;
- infertilità: situazione di una donna che arriva ad avere una gravidanza ma non riesce a portarla a termine.
L’infertilità, è dunque l’incapacità di portare a termine
una gravidanza in una donna in grado di concepire, per cui la donna può rimanere
gravida anche più volte ma non riesce a portare a termine la gravidanza. Le cause
possono essere sia di tipo organico che psicologico.
L’infertilità è
considerata dall’OMS una patologia e
in quanto tale ha delle possibilità di cura.
- Cosa può significare per una donna il fatto di non avere figli?
Dott.ssa Foà: La problematica della sterilità/infertilità e quindi della
mancata capacità di riprodursi è sempre esistita ed è stata da sempre vissuta dalla
donna con vergogna, come un castigo. Ne troviamo accenni nei miti e anche nella
Bibbia, dove la sterilità è considerata una punizione divina. Nell’Antico
Testamento sono citate molte donne che,
non potendo avere un figlio, lo “strappano” al cielo facendo preghiere, suppliche
e/o pellegrinaggi. Nel Nuovo Testamento è riportato il caso di Elisabetta, cugina
di Maria Santissima, la quale rimane gravida in età avanzata. Essa era da tutti
considerata sterile e per questo si sentiva disonorata. Elisabetta si nasconde
per portare avanti la gravidanza perchè si vergogna di essere diventata madre in tarda età (Lc 1, 24-25).
Oggi il desiderio
di un figlio, per quanto sia un evento naturale, è sottoposto a grandi
pressioni sociali e culturali, riempiendosi di significati, valori e simbologie
che di naturale hanno sempre meno e che
sempre più rispecchiano l’evoluzione
della società. E’ anche per questo che, generalmente, è proprio il sesso
femminile quello che soffre maggiormente nel non riuscire a procreare, da una
parte per i retaggi storici, dall’altra perché è la donna che vive appieno la
maternità in tutti i suoi aspetti fisici e psicologici. Il desiderio di
procreare in una coppia desiderosa di
figli appartiene ad entrambi i sessi, ma la donna appare quella che patisce
di più nella situazione di infecondità.
Il desiderio di avere
un bambino, come tutti i desideri, viene da lontano: è legato ai nostri vissuti
dell’infanzia ed è stato preparato da bisogni e fantasie precoci ed inconsci. La
non realizzazione di questo sogno può
essere fonte di frustrazione, stress e malessere. Questo in parte spiega
l’attuale boom delle fecondazioni in vitro.
- Quali conseguenze vi possono
essere a livello psicologico, relazionale e sociale in una coppia che vive la
condizione di infertilità?
Dott.ssa Foà: Il
fenomeno dell’infertilità, secondo le diverse stime
disponibili riguarda circa il 15-20% delle coppie. Le cause
dell’infertilità, sia femminile che maschile, sono numerose e di
diversa natura. Il numero di donne che
non riesce a concepire e/o a portare a termine una gravidanza è sempre
maggiore. Per quanto ci possano essere tante ragioni di natura biologica (stile di
vita, ricerca del primo figlio in età
tardiva, aborti precedenti, uso di droghe, abuso di alcool,
fumo, condizioni
lavorative, inquinamento), altrettante
sono quelle di natura psicologica. La condizione di infertilità della coppia
porta a vivere esperienze psicologiche, relazionali e sociali molto complesse e
spesso legate ad un vissuto di disagio emotivo. Questo disagio è esperito in
modo diverso a seconda della personalità della coppia: quando la maternità riveste
un ruolo non solo di completezza personale ma anche un ruolo sociale, esso può
essere molto forte. Per molte donne non avere figli può avere un significato di
fallimento, di svilimento fino all’abbassamento dell’autostima. Se la donna trova
la sua identità solo come madre, e non riesce a vedere in sè
valore altro, allora la situazione
psicologica può prendere percorsi tortuosi e dolorosi.
Anche l’uomo soffre per la mancata paternità, seppure
in modo diverso. Oggi l’uomo è sempre più consapevole del suo ruolo e
dell’importanza della sua presenza per i figli, anche se è vero che egli
comprende appieno il suo ruolo alla nascita del figlio. Questo passaggio per la
madre solitamente inizia prima. La mancanza del figlio atteso non esclude l’uomo dallo stesso dolore che vive
la donna; il modo di reagire alla perdita può essere vissuto però diversamente,
per esempio nella tendenza a lavorare di più e a parlare meno con la partner.
L’infertilità è un aspetto della vita che non
è controllabile; alla sua scoperta si possono verificare tutta una serie di
emozioni: sorpresa, negazione, rabbia, isolamento, vergogna, senso di colpa
fino alla rassegnazione. La mancata capacità di elaborare il lutto, in questo
caso del non essere fertili, può portare alla depressione e in alcuni casi limite
anche allo scioglimento della coppia. A questo proposito il sociologo Alberoni
afferma che a volte figlio viene vissuto inconsapevolmente come un prodotto di
pregio, un lusso, un investimento affettivo ed emotivo che deve colmare un
vuoto e spiega che quel vuoto, troppo
spesso, è in realtà un vuoto di coppia: si vuole un figlio e si fa un figlio per tenere in vita un rapporto che
altrimenti si esaurirebbe.
- Alcuni studi inglesi ed americani affermano che dopo un aborto volontario è più difficile portare a termine le successive gravidanze per il verificarsi di aborti spontanei ma anche a causa di infertilità. Quali ne sono le ragioni?
- Alcuni studi inglesi ed americani affermano che dopo un aborto volontario è più difficile portare a termine le successive gravidanze per il verificarsi di aborti spontanei ma anche a causa di infertilità. Quali ne sono le ragioni?
Dott.ssa Foà: Si,
questi studi inglesi e americani (cfr.: www.unchioce.info/resources.htm) affermano
che dopo un aborto volontario è più facile che la donna non riesca a portare a
termine le successive gravidanze. Ne risultano aborti spontanei o infecondità. Uno studio
pubblicato sul British Journal of
Obstetric and Gynecology (2006) afferma che nelle donne che hanno abortito
volontariamente si registra il 60% in più di possibilità di un aborto
spontaneo.
L’infertilità
dopo un aborto procurato è dovuta a ragioni diverse: organiche o psicologiche. L’utero
può essere stato danneggiato durante l’intervento abortivo e in conseguenza a
ciò la donna non riesce a portare a termine successive gravidanze desiderate. Ma l’infertilità può essere secondaria, cioè ci
possono essere disagi di ordine psicologico per cui la donna non resta gravida o non riesce a portare avanti
la gravidanza anche se a livello organico non ci sono problemi. Succede cioè
che donne e uomini riproduttivamente sani non riescano a generare.
- Cosa si può fare nei casi di infertilità
secondaria?
Dott.ssa
Foà: Il
lavoro dello psicologo in questi casi può essere fondamentale. Elaborare il
lutto di un figlio perso in precedenza può essere la condizione necessaria per
poter poi affrontare al meglio un’altra gravidanza. Elaborare i vari traumi di
vita legati, anche inconsciamente, alla figura materna diventa in questi casi un passo necessario
per diventare madri. Legami patologici tra madri e figlie sono spesso alla base
di situazioni invischiate che portano alla non accettazione della propria vita
e di conseguenza di quella degli altri. Ho notato che madri incapaci di dare un
sostegno affettivo sufficientemente buono,
“alla Winnicott”, sono generatrici di figlie psicologicamente fragili che a
loro volta faticano a dare la vita. Un lavoro di counseling con l’utilizzo
dell’immaginario può portare in breve tempo allo sblocco di problemi profondi
quanto inconsci. Le Esperienze
Immaginative (Passerini) mirate
possono portare la donna, ma anche l’uomo al superamento di blocchi e/o traumi
psichici legati alla maternità/paternità in modo da poterli affrontare con successo. Il poter dare un
nome al dolore e verbalizzare vissuti spesso mai detti può far migliorare lo
stato di salute in generale e quindi aumentare la stima di sè, così da
ritornare a vivere meglio, se non addirittura, come avviene spesso, ad eliminare
il problema infertilità.
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